La cacciata dei senatori che dissentivano sul disegno di riforma costituzionale dalla Commissione affari costituzionali è chiaramente un segno di debolezza della maggioranza governativa che dimostra di non avere i consensi necessari a portare avanti il ddl sul senato. Se questo è il dissenso interno, bisogna però esser consapevoli quali conseguenze avrebbe una tolleranza interna: ovvero, se Renzi ascolta Mineo, perde l'appoggio di Berlusconi. Preferire Berlusconi a Chiti e a Mineo è un'idea politica non di poco conto.
Qui si entra così nel merito delle posizioni: il patto (segreto, cosa in sé poco simpatica) stretto tra il presidente Renzi e il delinquente Berlusconi alla sede del PD al Nazareno. Di fatto un superamento del bicameralismo perfetto: legislatore sarebbe solo la Camera e solo la Camera darebbe la fiducia al governo; si creerebbe un senato non elettivo composto da 148 persone fra presidenti di regione, sindaci, eletti dai consigli regionali; il senato avrebbe poche competenze.
Opporsi a questo progetto è legittimo, saggio e doveroso se si pensa agli effetti sulla rappresentatività delle istituzioni che deriverebbe dalla approvazione congiunta della legge elettorale iper-maggioritaria quale è l'Italicum e la scomparsa di una seconda camera elettiva. Che invece potrebbe essere, se privata della funzione di sostenere il governo - quindi privata dell'ossessione della "governabilità", finalmente eletta con un sistema proporzionale davvero rappresentativo delle istanze territoriali.
Opporsi a questo disegno ha apparentemente a che fare con la libertà di mandato, ma ormai l'istituto è percepito in modo distorto: esso opera ormai nei confronti del mandato elettore-eletto, molto meno nel rapporto capopartito-eletto. Anche i capi del M5S, quando invocano il vincolo di mandato, non pensano affatto di vincolare l'eletto agli elettori, ma alla dirigenza.
Matteo Renzi lo teorizza senza tanti giri di parole, anzi con spocchia: "Non lasciamo a nessuno il diritto di veto. Conta molto di più il voto degli italiani che il veto di qualche politico che vuole bloccare le riforme. E siccome conta di più il voto degli italiani, vi garantisco che andremo avanti a testa alta". Non solo: il diktat che Renzi detta dalla Cina arriva a far rimuovere anche Mario Mauro, Popolare ex ministro della difesa (http://www.lastampa.it/2014/06/10/italia/politica/commissione-senato-mauro-sostituito-questo-governo-un-soviet-da-soldi-8GyVp6Pl7saQVQeBN9ttFP/pagina.html )
E' un problema politico grave quello creato da comportamenti quali la cacciata (rimozione) di un membro della commissione perché intralcia le riforme. E non si può non evocare i diritti di libertà perché nella stretta verticistica impressa da Renzi in nome del progetto riformista - e in ogni altra occasione - si restringe proprio quanto una democrazia completa vorrebbe espandere al massimo: Mineo per Renzi e Boschi può certo parlare, esprimersi, ma il suo pensiero - che dovrebbe essere espressione non solo di una libertà, ma anche di una possibilità partecipativa, strumento d'indirizzo nei luoghi dell'art. 18 e dell'art. 49 e 67 - non può avere certi effetti; può far parte del PD, ma non può discutere una proposta dei dirigenti in parlamento; lasciaci lavorare.
Non si può trascurare però un nodo che sta alla base di ogni impasse simile a quella di questi giorni: la maggioranza parlamentare è guidata da un partito che ha a segretario il presidente del consiglio. Pertanto le sorti del governo e del partito di maggioranza relativa sono in mano alla stessa persona. In altri termini: un dissenso interno al partito diventa un motivo di dissenso verso il governo. E il partito non riesce ad essere un tramite di partecipazione, ma solo un pezzo di stato, di uno stato che non tollera dissenso in nome della governabilità. Il partito è un intralcio per la governabilità. La soluzione è nelle cose: la separazione tra cariche di partito e cariche istituzionali, specie se di governo. E la riduzione del verticismo e della personalizzazione della politica, estremismi cui Renzi ha aggiunto qualcosa, ma di cui buona parte della inconcludente politica italiana porta la responsabilità.
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