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venerdì 1 dicembre 2017

Mezzogiorno di sangue a Vicenza

Gran bravo macellaio di Vicenza alle 11 si lamenta ad alta voce del calo degli affari mentre Untizio Accaso entra nella bottega e gli chiede: "lei ha una lingua di maiale?" Alché il macellaio offeso lo uccide. Signora Spiritosa commenta "Lingua tagliente" e viene pure lei uccisa dal macellaio che entro mezzogiorno si uccide.

martedì 24 ottobre 2017

Chiamata alle larghe intese: il Rosatellum come arma impropria

DDL Rosato - o rosatellum: il ddl 2941 del Senato che sta procedendo la sua scandalosa corsa a colpi di fiducia imposti dal governo, con la ministra Finocchiaro sempre in prima fila, eppure Gentiloni lo aveva esplicitamente escluso dal programma quando chiese la fiducia alle Camere. Il testo - di non facile lettura per essere l'ennesima modifica al TU del 1957 - si può scaricare qui
ddl Rosato in PDF

Il sistema proposto non sembra un grande passo avanti rispetto ai sistemi in vigore dopo le sentenze della Corte costituzionale n. 1/2014 (che abrogò premio e liste bloccate della legge del 2005, il Porcellum) e n. 35/2017 (che ha abrogato parte dell'Italicum, la legge renziana che nel 2015 soccorse subito a reagire all'intollerabile intromissione della consulta negli affari della politica delle larghe intese del Nazareno: il ballottaggio, lasciando in vigore il premio al primo e unico turno per la Camera; e il diritto di scelta del capolista che risulti eletto su più collegi, risulterebbe eletto nel collegio estratto a sorte): anzitutto perché le differenze tra i due sistemi in vigore si riducono ad uno "eventuale" (che si attiva solo alla Camera se una lista raggiungesse il 40% dei voti) ed uno "eventuale" e non decisivo (le soglie di sbarramento al senato sono ben più alte, ma basterebbe presentare coalizioni o liste aggregate in grado di superarli.

In breve annoto qualche critica al Rosatellum, considerazioni ormai diffuse, per arrivare alla conclusione che non abbiamo bisogno dei suoi meccanismi, anzi, come molti vanno dicendo, gli effetti indesiderati si sommerebbero a quelli abusivi e maliziosamente ricercati dai proponenti:

- apparentemente è un sistema proporzionale per 2/3 e uninominale per 1/3 con sbarramento al 3%, bellissimo, direi!

- in realtà, essendoci una sola scheda (per la camera, un'altra per il senato) ed essendo vietato il voto disgiunto, il voto va sempre al candidato dell'uninominale (di coalizione o della singola lista non coalizzata) e l'elettore lo sa e si concentrerà su quello (succede così, ad es., anche in Germania, dove ci sono due distinti voti uninominale e propozionale, eppure gli elettori, al 60%, pensano di trovarsi di fronte a un sistema all'inglese);

- le liste del proporzionale sono brevi, ma non come in Spagna, bensì all'italiana: il risultato proporzionale è dato dal collegio unico nazionale (regionale al senato), quindi la scelta del candidato non c'è; inoltre ogni candidato può candidarsi nella stessa lista in ben 5 circoscrizioni diverse e 1 collegio uninominale;

- il risultato è che il 100% dei candidati (dell'uninominale e del listino bloccato) è scelta dai partiti, l'elettore sceglie solo il partito; se non sceglie il partito, ma vota solo il candidato del collegio uninominale, il suo risultato andrà distribuito fra le liste coalizzate secondo le scelte degli altri elettori del collegio: tale voto è direttamente valido per conseguire il collegio uninominale, ma è conteggiato anche per determinare la quota proporzionale, raddoppiando di fatto l'effetto del voto di chi contribuisce ad eleggere il candidato dell'uninominale (cfr. Spadacini, Manifesto del 20.10.2017)

- lo sbarramento del 3% diventa dell'1% in coalizione (che nel complesso deve raccogliere almeno il 10%), un invito alla frammentazione disponibile.

A parte altri dettagli, il risultato è un sistema che accetta la situazione esistente, non si preoccupa di determinare maggioranze che non esistono (con premi o ballottaggi), e che quindi ha due obiettivi evidenti: ottenere la fedeltà degli eletti di ciascuna lista (ma le coalizioni saranno aperte, libero ciascuno di saltare da un gruppo a un altro, più del solito); e scoraggiare chi vuol correre da solo; e un obiettivo velato: sarà necessaria l'alleanza tra schieramenti fittiziamente contrapposti. Soccombe chi, piccolo, non si allea prima.

Eppure Renzi raccoglierà voti contro Berlusconi e contro Grillo, Salvini contro Renzi, ecc. Ma Renzi vuole fare alleanze a destra, perché questa legge sacrifica proprio i partiti alla sinistra del Pd che non vorranno allearsi. Creare un sistema che facilita anzitutto la destra, pur di rendere indispensabili alleanze tra poli contrapposti (fittiziamente, ripeto, ma tali sono), piuttosto che (avversativo) tra partiti affini è segno della trasformazione del Pd. Gli altri partiti di destra non otterrebbero da soli la maggioranza (sulla "stupidità" di questa legge v. Floridia sul Manifesto del 24.10.2017).

Nella situazione odierna, obiettivamente "ingovernabile" (per non parlare delle responsabilità), sarebbe preferibile lasciare che si formi un parlamento il più possibile rappresentativo dell'elettorato e lasciare che lì si aggreghi una maggioranza governativa tra tutti i soggetti affini. Non credo abbia senso obiettare che alcuni partiti dichiarano di non volersi alleare, sia perché a certe condizioni (di forza e di programma) potrebbero farlo, sia perché la loro rappresentanza è condizionata dal sistema elettorale e da come è percepito dall'elettore.

mercoledì 11 ottobre 2017

Un parlamento strozzato come un porcellum - fiducia e discussione della nuova legge elettorale

Legge Acerbo (1923), Legge truffa (1953), Italicum (2015). Tutte approvate su pressione del governo, tutte con la fiducia. E ora il Renzellum, o Rosatellum che dir si voglia.

Porre la fiducia sulla legge elettorale (procedimento che consente di far cadere gli emendamenti e limitare i tempi di voto, oltre che impegnare i parlamentari sul sostegno o meno all'esecutivo) deve ritenersi contrario alla costituzione, art. 72, IV comma, che impone per i disegni di legge "in materia costituzionale ed elettorale" che si segua il procedimento ordinario, quindi quello del I comma: in aula, articolo per articolo.

La stessa presidente Boldrini già autorizzò la fiducia per l'approvazione dell'Italicum nel 2015, ora replica l'autorizzazione per questo ddl di pessima fattura che avrà, se approvato, oltre ai vizi di cui molto si parla (liste bloccate e vincolate al candidato dell'uninominale e trucchi vari confezionati a vantaggio di alcuni gruppi con l'esito anzitutto di determinare un parlamento di nominati e fortemente selettivo verso le formazioni minori o che non accettano le alleanze), anche il vizio di procedimento di esser stato votato con la fiducia. Questi parlamentari della maggioranza, eletti nel 2013 con il Porcellum dichiarato incostituzionale a gennaio 2014, possono ancora produrre qualcosa di meno infame, ma temo che non ne avranno il coraggio.

Nel 2015 l'argomento della presidente Boldrini che pose, richiesta dal governo, la fiducia, fu l'art. 116 del regolamento della camera che, ci insegna Felice Besostri, non parla di legge elettorale, ma perché pare ovvio che parli solo di quei ddl su cui si può porre la fiducia.

Il tema mi sembra essenziale perché il disegno costituzionale del procedimento di discussione e votazione delle leggi è uno dei nodi centrali della democrazia che coinvolge i principi della sovranità popolare, della rappresentatività delle istituzioni, del rispetto delle minoranze, della separazione dei poteri, nodo che deve avere confini certi, non disegnati con timidezza da parte degli organi di garanzia. Ritengo che l'art. 72 che parla di "procedura normale" ordinario al quarto comma richieda che i disegni di legge in materia costituzionale, elettorale, ecc. debbano seguire "il" procedimento ordinario di cui al I comma, non semplicemente la procedura di votazione in aula che in maniera sintetica si descrive nel quarto comma.

I precedenti di corte costituzionale sono contrari a questa lettura (si vedano le sentenze n. 9/1959, 391/1995, non la 35/2017 sull'Italicum perché l'eccezione relativa si fermò dinanzi alla valutazione dei giudici a quo di manifesta infondatezza e la corte ritenne di non poterlo sollevare autonomamente dopo che le ordinanze non l'avevano fatto).  Ma quelle pronunce ripropongono principi e ragionamenti maturati soprattutto sul rispetto del procedimento in materia di conversione di decreti legge e di questione di fiducia.

Ritenere soddisfatto l'art. 72, quarto comma, per il solo aver garantito l'esame in sede referente e l'approvazione in aula mi sembra poco. Si esclude in tal modo che la votazione e discussione articolo per articolo sia la vera "procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera". Provo a proporre solo un piccolo argomento letterale: se il costituente avesse voluto limitarsi a chiedere quello che scrive, esame e approvazione in aula, per escludere quindi solo la commissione in sede deliberante, perché avrebbe dovuto creare un istituto (procedura normale) che poi descrive nel dettaglio? L'autolimitazione della corte, che in sostanza non vuol entrare a valutare i regolamenti parlamentari, così vanifica la chiara indicazione di una "procedura normale" che garantisce discussione, trasparenza, partecipazione delle opposizioni.

E questo risulta pianamente dalla diffusa interpretazione dell'art. 72 Cost. Anche di recente in materia si trova Trib. di Messina, ordinanza di rimessione alla C.Cost. (che poi ha deciso censurando su altri presupposti parte dell'Italicum, sent. 35/2017), che afferma che "la prima questione sollevata concerne l'asserita violazione dell'art. 72, comma 1 e 4, Cost. (secondo cui la procedura normale - da adottare per le leggi elettorali - prevede che il disegno di legge sia esaminato in commissione e poi dalla Camera o dal senato, che l'approva articolo per articolo), posto che il d.d.l. unificato A.C. 3-B-Bis è stato approvato senza la preventiva votazione delle commissioni in sede referente e dopo che il governo aveva posto la questione di fiducia, senza emendamenti ed articoli aggiuntivi, sugli artt. 1, 2 e 4, con voto finale di fiducia il 4 maggio 2015, con unica votazione a scrutinio palese cumulativamente per tutti e tre gli articoli in questione".
E si conclude, con pronuncia che non risolve affatto il problema, se non in quel giudizio, che "dai documenti prodotti dai ricorrenti (...) non risulta dimostrata la dedotta violazione della procedura ordinaria prescritta per le leggi elettorali dall'art. 72 Cost. , non emergendo per tabulas che, a seguito della proposizione dal parte del Governo della questione di fiducia, sia stata omessa la votazione articolo per articolo, previo esame in commissione. Peraltro, gli ulteriori profili prospettati (come quelli inerenti il c.d. Lodo lotti del 1980, attinente alle disposizioni regolamentari della Camera) non appaiono rilevanti per la questione in esame."
Quindi la "procedura ordinaria" del IV comma è qualcosa di più di votare in aula, secondo il giudice siciliano.

Da non trascurare che finirà sotto la fiducia anche la delega al governo di disegnare i collegi elettorali, quindi una parte di ddl riguarda non solo la legge elettorale, ma è fatto con lo strumento della delega e il IV comma dell'art. 72 chiede che sia rispettata la "procedura ordinaria" per ddl in materia costituzionale, elettorale, di delegazione legislativa, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi.

Altra questione è quella del rispetto dei regolamenti parlamentari: se la violazione è solo del regolamento, non si determina un errore di procedura che possa esser fatto valere fuori dall'aula, ma solo al suo interno, con gli strumenti propri dell'organo. Ebbene, entrano in ballo gli articoli 116 e 49 del regolamento della camera, il primo impedisce all'esecutivo di chiedere la questione di fiducia ex art. 94 Cost. su disegni di legge per i quali è previsto il voto segreto; e fra questi l'art. 49 menziona i ddl in materia elettorale. La disposizione è chiara, anche se c'è chi sostiene, come nel 2015 la presidente Boldrini, che il limite varrebbe quando si tratta dei casi di tutela di situazioni sensibili in cui il regolamento prevede il diritto di chiedere la votazione a scrutinio segreto, quindi solo quando si vota su persone.


sabato 20 maggio 2017

Rieccoli.

E rieccoli con il Rosatellum: non c'entra nulla né con il Mattarellum né con il sistema tedesco. Sarebbe piuttosto un sistema maggioritario corretto con le liste bloccate.

Un'unica scheda, vi si trovano i candidati del collegio uninominale e le liste proporzionali collegate, metà dei seggi della Camera sarebbe coperta da chi arriva primo nel singolo collegio (303 circoscrizioni uninominali), l'altra metà secondo il riparto proporzionale del voto di lista bloccata. Non è previsto lo scorporo, che era nel Mattarellum una correzione proporzionalista che impediva alla lista di usare per l'attribuzione della quota di seggi del proporzionale i voti ottenuti nel voto uninominale. Al senato stessa cosa (150 collegi di lista piccoli e 150 eletti col proporz.). Sbarramento al 5%.

Quindi avremo la composizione di Camera e Senato interamente decisa da chi compone le liste e i candidati dei collegi uninominali, si potrà scegliere solo fra i contendenti nel collegio. Il risultato proporzionale sarà corretto fortemente dal risultato uninominale, infatti: 1. non è consentito il voto disgiunto; 2. è consentito candidarsi sia nell'uninominale che nella lista proporzionale, anche in più collegi (ma non in più collegi uninominali).
 

Nel sistema tedesco avviene l'opposto: l'intero risultato della composizione del Bundestag è dato dal risultato del voto proporzionale (il "secondo voto"), e il risultato dei "primi voti" che determinano i vincitori dei collegi uninominali è sottratto al risultato del proporzionale, quindi serve solo per scegliere la persona, non per determinare la composizione dell'assemblea, pertanto non ha un effetto maggioritario, ma semmai personalizzante. Infatti il sistema tedesco è comunemente definito proporzionale. Corretto dallo sbarramento, dal divieto costituzionale di partiti estremisti, collegati a ideologie totalitarie, dall'effetto maggioritario che può avere la candidatura del collegio uninominale, ma pur sempre proporzionale.

La Corte costituzionale non ha dato indicazioni dirette su quale legge sia conforme ai principi costituzionali, però nelle sentenze 1/2014 e 35/2017 ha censurato distorsioni eccessive della rappresentatività del sistema e meccanismi che non consentivano la scelta del candidato, come le liste bloccate. 

E il risultato del referendum del 4 dicembre scorso ha sonoramente bocciato un pacchetto maggioritario che in più, come effetto preminente, cancellava l'elettività del senato. 

Credo che questo Rosatellum sia un tradimento di quelle indicazioni.

giovedì 2 marzo 2017

Il neurone della coscienza.

E forse questa è la notizia del secolo, per me.

Dopo aver trovato i virus e il dna, dopo aver convalidato i processi evolutivi delle specie e visto come funziona il cervello, arriva la visualizzazione di un neurone che è in contatto con ogni zona della massa cerebrale che, pertanto, può dirsi finalmente pensata.

Le continue delusioni o consolazioni che, segretamente, in uno stllicidio che sembrava infinito, abbiamo provato ogni volta che la ricerca dava un luogo e una formula chimica per ogni dettaglio della nostra indole e dei nostri sensi, delle nostre capacità percettive e mnemoniche, sono ora seguite da un traguardo, forse anch'esso provvisorio, ma dal sapore della sentenza definitiva su cosa sappiamo di noi.

Esagero, ridicolmente, ma azzardo a dire che, essendo persuasi di come ormai sia dimostrato che l'individuo è dato dalla somma dei suoi organi coordinati e delle sue capacità cognitive e che queste, compresa la memoria, hanno una sede e degli strumenti e modi d'azione fisicamente rilevabili, sapere che una cellula filamentosa metta in connessione tutto ciò riesce a dare al concetto presuntuoso di coscienza, per altri di anima, o di individualità, un'aura di plausibilità e di dignità che prima non potevamo vantare.

Gli ignobili o sublimi pensieri che mi rappresentano non sono forse la mera somma di una miriade di molecole e cellule, ma hanno un senso, una capacità di sintesi e, quindi, di autorappresentazione che non è solo illusoria. Certo, se si tratta di un super neurone, sempre una cellula sarà, quindi non sarà sede di alcunché, non sarà il borsello del ragioniere, lo zaino dell'alpinista, ma solo il filo che ci consente di essere e saperlo ed essere individui finché quel filo è teso. Soprattutto, ammettiamo che questa mirabolante cellula è stata trovata nel topo, non è certo esclusiva dell'homo sapiens, ma date uno smartphone al topo: non ne farà granché.

Si getta una luce nuova sul rapporto fra res cogitans e res extensa. Insomma, direi, una scoperta che, come mille altre, ci svela, ma finalmente senza toglierci la nostra umanità.

venerdì 10 febbraio 2017

Le motivazioni della sentenza sull’Italicum: un primo commento

Le motivazioni della censura dell'Italicum: il sistema parlamentare richiede una piena rappresentatività delle Camere. La Corte ha cancellato vizi che erano anche del Porcellum, il legislatore faccia il resto.
di Paolo Solimeno, 10 febbraio 2017
http://www.hyperpolis.it/online/le-motivazioni-della-sentenza-sullitalicum-un-primo-commento/

La sentenza n. 35 del 2017, resa nel procedimento discusso all'udienza del 24 gennaio e depositata il 9 febbraio 2017, contiene una approfondita analisi dei motivi di costituzionalità portati alla sua attenzione dalle ordinanze di rimessione di vari tribunali d'Italia (Torino, Messina, Genova, Perugia, Trieste), tutti raggiunti da ricorsi, solitamente ex art. 702 bis c.p.c., di cittadini assistiti dal gruppo di "Avvocati Antitalicum" coordinati dall'avv. Felice Carlo Besostri.
La sentenza, lunga un centinaio di pagine, apre con il rigetto dell'eccezione dell'Avvocatura dello stato di inammissibilità delle questioni di legittimità sulla base del ragionamento già svolto dalla sentenza 1/2014: le eccezioni sono ammissibili qualora, come nel caso di specie, siano a) sufficientemente motivate, b) vi sia una effettiva incidentalità del giudizio di merito e di quello di costituzionalità che debbono avere oggetto diverso: la pienezza del diritto di voto il primo, la legge elettorale sospettata di incostituzionalità il secondo (si ribadisce che l'accesso al vaglio di costituzionalità non può essere diretto, ma solo incidentale, come parentesi di un effettivo giudizio di merito), c) che il diritto azionato abbia rilievo costituzionale, d) tenuto conto dell'esigenza di consentire che le leggi elettorali non siano sottratte al vaglio di costituzionalità, dato che determinano la composizione di organi costituzionali essenziali per l'ordinamento democratico-rappresentativo.

Sempre quanto all'ammissibilità delle questioni la Corte si sofferma sul fatto che la legge elettorale 52/2015 aveva un'efficacia differita, ma non incerta, e che l'ammissibilità di un giudizio di accertamento di un diritto non dipende necessariamente dall'avvenuta lesione dello stesso, ma può derivare anche dal pericolo di una sua futura lesione. Queste prime statuizioni rafforzano e consolidano la giurisprudenza inaugurata dalla sentenza 1/2014 della stessa Corte costituzionale, dalla ordinanza 17.5.2013 della Cassazione e soprattutto dalla sentenza della Cassazione 8878 del 16 aprile 2014, emanata dopo C. Cost. 1/2014, che afferma la sussistenza del nesso di pregiudizialità delle questioni di costituzionalità e perciò la prospettata separazione e distinzione delle domande processuali proposte dal giudice a quo e in Corte costituzionale.

Invece è ritenuta inammissibile la questione riguardante la violazione del procedimento di approvazione della legge elettorale, art. 72 Cost., attraverso anche la compressione dei tempi di discussione e votazione e l'apposizione della fiducia: la Corte non entra nel merito, si limita a rilevare che le ordinanze dei giudici di merito non comprendono questa eccezione e non si può chiedere che la Corte sollevi dinanzi a sé la questione perchè questo aggirerebbe il limite detto e perché le questioni sono già state ritenute manifestamente infondate dai giudici a quo. Sul punto si possono nutrire dei dubbi, non solo per la ragione strumentale che una dichiarazione di violazione del procedimento di deliberazione "ordinario" previsto dalla costituzione avrebbe portato alla caducazione dell'intera legge elettorale, ma perché l'oggetto della legge richiede un particolare rigore sul rispetto delle modalità di discussione e approvazione in parlamento e gli ostacoli formali addotti dalla Corte paiono non esser sufficienti ad impedire il vaglio di legittimità.

Veniamo al premio di maggioranza: per quello previsto dalla legge in esame al primo turno la Corte ritiene che, riconosciuta al legislatore "un'ampia discrezionalità nella scelta del sistema elettorale che ritenga più idoneo in relazione al contesto storico-politico in cui tale sistema è destinato ad operare", resta un giudizio di razionalità alla Corte che nel caso assolve la legge. La sentenza richiama infatti i precedenti in materia che hanno richiesto una soglia di accesso al premio di maggioranza che incida sull'attribuzione dei seggi (sent. 1/2014, 13/2012, 15 e 16/2008) e questa soglia prevista dalla legge 52/2015 è ritenuta ora adeguata a contemperare gli obiettivi di rappresentatività del parlamento e di stabilità del governo.

Invece è ritenuta fondata l'eccezione di costituzionalità del premio al ballottaggio: infatti il secondo turno assegna comunque il premio alla lista delle due che siano arrivate prime per numero di voti validi al primo turno, solo perché abbiano superato lo sbarramento del 3%. Il premio sarà ottenuto solo sul presupposto di ottenere al secondo turno un voto più della lista concorrente, senza alcun riferimento alla porzione di aventi diritto al voto che abbia partecipato al secondo turno, porzione che si può prevedere che possa essere anche molto ridotta "come prevedibile conseguenza della radicale riduzione dell'offerta elettorale" (così argomentavano i giudici rimettenti per questo punto, i Tribunali di Torino, Perugia, Trieste e Genova); inoltre non sono consentiti apparentamenti o collegamenti tra liste. La Corte ritiene che le indicazioni della sentenza 1/2014 siano state recepite dal legislatore del 2015 nel disegnare il primo turno di votazioni, ma il secondo è disegnato in modo illegittimo, eccessivamente distorsivo della volontà degli elettori. Infatti è costruito come "prosecuzione del primo turno" - e non come nuova votazione - utile solo a individuare il vincitore del premio ed a cui non partecipano altro che le prime due liste, le altre restando confinate (anche per il divieto di apparentamenti) come peso in seggi al risultato percentuale del I turno. Il premio così configurato è necessariamente un premio di maggioranza, non un premio di governabilità e pertanto deve esserne valutato il rispetto della "esigenza costituzionale di non comprimere eccessivamente il carattere rappresentativo dell'assemblea elettiva e l'eguaglianza del voto", esigenza che, dice la sentenza n. 35, non è rispettata dal sistema di assegnazione del premio al ballottaggio perché una lista "può accedere al turno di ballottaggio anche avendo conseguito, al primo turno, un consenso esiguo, e ciononostante ottenere il premio, vedendo più che raddoppiati i seggi che avrebbe conseguito sulla base dei voti ottenuti al primo turno. Le disposizioni censurate riproducono così, seppure al turno di ballottaggio, un effetto distorsivo analogo a quello che questa Corte aveva individuato, nella sentenza n. 1 del 2014, in relazione alla legislazione elettorale previgente".

Ed ecco il passo essenziale, sul punto, della sentenza n. 35 del 2017 che si allinea pienamente, ripetendone i principi cardine (il confronto tra interesse legittimo alla governabilità e principio costituzionale di rappresentatività delle istituzioni e uguaglianza del voto): "Se è vero che, nella legge n. 52 del 2015, il turno di ballottaggio fra le liste più votate ha il compito di supplire al mancato raggiungimento, al primo turno, della soglia minima per il conseguimento del premio, al fine di indicare quale sia la parte politica destinata a sostenere, in prevalenza, il governo del Paese, tale obbiettivo non può giustificare uno sproporzionato sacrificio dei principi costituzionali di rappresentatività e di uguaglianza del voto, trasformando artificialmente una lista che vanta un consenso limitato, ed in ipotesi anche esiguo, in maggioranza assoluta". L'avverbio artificialmente è usato non a caso e più avanti la sentenza chiarisce che l'individuazione di una maggioranza è creata da un meccanismo, non da una scelta: "È vero che, all’esito del ballottaggio, il premio non è determinato artificialmente, conseguendo pur sempre ad un voto degli elettori, ma se il primo turno dimostra che nessuna lista, da sola, è in grado di conquistare il premio di maggioranza, soltanto le stringenti condizioni di accesso al turno di ballottaggio conducono, attraverso una radicale riduzione dell’offerta politica, alla sicura attribuzione di tale premio".
Giova sottolineare, per evitare letture distorsive della sentenza, come la "divaricazione" censurata dalla sentenza in questo passo non sia tra le maggioranze che potrebbero generarsi nelle due camere, ma tra la composizione di una delle due assemblee (la legge in esame vale solo per la Camera) e la volontà dei cittadini: "Le disposizioni censurate producono una sproporzionata divaricazione tra la composizione di una delle due assemblee che compongono la rappresentanza politica nazionale, centro del sistema di democrazia rappresentativa e della forma di governo parlamentare prefigurati dalla Costituzione, da un lato, e la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto, «che costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare secondo l’art. 1 della Costituzione» (sentenza n. 1 del 2014), dall’altro".

La questione delle maggioranze omogenee è ripresa con un inciso a fine sentenza, laddove rigetta l'argomento della incostituzionalità della diversità dei sistemi elettorali previsti per le due camere, dopo la vittoria (ovviamente le ordinanze si riferivano ad una mera ipotesi, prima della vittoria del no al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016). L'argomento è respinto sostanzialmente per difetto di motivazione delle ordinanze di rimessione, ovvero per insufficiente indicazione dei motivi per cui si ritiene che la normativa violerebbe le singole disposizioni costituzionali invocate (artt. 1, 3, 48, 49, 51, 56); e mancato riferimento proprio "delle due disposizioni costituzionali che dovrebbero necessariamente venire in considerazione (cioè gli artt. 94, primo comma, e 70 Cost.) laddove si intenda sostenere che due leggi elettorali «diverse» compromettano, sia il funzionamento della forma di governo parlamentare delineata dalla Costituzione repubblicana, nella quale il Governo deve avere la fiducia delle due Camere, sia l’esercizio della funzione legislativa, attribuita collettivamente a tali due Camere". E qui la Consulta sembra cogliere nel segno. Ma si deve rilevare che è una soluzione di rigetto formalistica che, proprio perché è seguita da una dichiarata preoccupazione proprio per il rischio di produzione di maggioranze non omogenee nei due rami del parlamento, risulta insoddisfacente: la Corte arriva a dire che la Costituzione "esige che, al fine di non compromettere il corretto funzionamento della forma di governo parlamentare, i sistemi adottati, pur se differenti, non devono ostacolare, all'esito delle elezioni, la formazione di maggioranze parlamentari omogenee". Quindi non si può dire che la Consulta si preoccupi di "armonizzare" il sistema, perché altrimenti avrebbe utilizzato o il motivo di censura che riguarda il mancato rispetto del procedimento parlamentare ordinario (art. 72 Cost.) oppure questo motivo di censura dei meccanismi diversi delle due leggi risultanti in vigore per cancellare interamente, o almeno in parti ben più essenziali (il premio al primo turno, anche) la legge per la Camera, consegnando agli elettori due meccanismi omogenei. Invece si limita a tutelare altri pur ragguardevoli principi quali la pienezza del diritto di voto e la rappresentatività del ramo del parlamento sulla cui legge è chiamata ad esprimersi.

Detto ciò, bisogna anche ammettere che la Corte si premura di censurare non il turno di ballottaggio tra liste in sé, ma la specifica disciplina che ne ha dato la L. 52/2017 quale ballottaggio in collegio unico nazionale con voto di lista, estraneo ad ogni esperienza straniera (quali i collegi uninominali), ammettendo che "non potrebbe essere questa Corte a modificare, tramite interventi manipolativi o additivi, le concrete modalità attraverso le quali il premio viene assegnato all’esito del ballottaggio, inserendo alcuni, o tutti, i correttivi la cui assenza i giudici rimettenti lamentano. Ciò spetta all’ampia discrezionalità del legislatore (ad esempio, in relazione alla scelta se attribuire il premio ad una singola lista oppure ad una coalizione tra liste: sentenza n. 15 del 2008), al quale il giudice costituzionale, nel rigoroso rispetto dei propri limiti d’intervento, non può sostituirsi.

Inoltre, alcuni di questi interventi (che, in astratto considerati, potrebbero rendere il turno di ballottaggio compatibile con i tratti qualificanti dell’organo rappresentativo nazionale) non sarebbero comunque nella disponibilità di questa Corte, a causa della difficoltà tecnica di restituire, all’esito dello scrutinio di legittimità costituzionale, una disciplina elettorale immediatamente applicabile, "complessivamente idonea a garantire l’immediato rinnovo dell’organo costituzionale elettivo (da ultimo, sentenza n. 1 del 2014)". Ma tale giudizio negativo del meccanismo non travolge nemmeno la legge per le elezioni dei comuni con più di 15.000 abitanti, soprattutto perché lì è prevista l'elezione diretta del sindaco (e non un sistema "parlamentare", quindi) e la coerenza del sistema è assicurata.

Il meccanismo dell'Italicum, quindi, è inadeguato allo scopo: è "finalizzato a completare la composizione dell'assemblea rappresentativa" che per il resto è (salvo le distorsioni conseguenti all'assegnazione del premio) composta sulla base del risultato proporzionale nazionale. In un sistema parlamentare la legge elettorale per ciascuna delle due camere, se con funzioni analoghe, legislative e di sostegno della maggioranza governativa, non può che "assicurare il valore costituzionale della rappresentatività", mentre la disciplina censurata "trasforma e in radice la logica e lo scopo della competizione elettorale" ed appare (la conclusione è solo suggerita dalla Corte, ma gli elementi sono posti lì e valutati senz'altro con questo obiettivo) come un meccanismo pensato per eleggere una carica monocratica applicato innaturalmente e irrazionalmente per determinare la composizione di una assemblea elettiva.

Pertanto la sentenza ha ritenuto di dover dichiarare l'illegittimità delle disposizioni, della legge 52 del 2015, che avevano introdotto il secondo turno di votazione; la normativa di risulta "è idonea a garantire il rinnovo, in ogni momento, dell'organo costituzionale elettivo", con l'effetto che in caso di mancato raggiungimento, da parte di alcuna lista, della soglia del 40%, si procederà al riparto interamente proporzionale dei seggi alla Camera (art. 83, I comma, n. 4) tra le liste che avranno superato lo sbarramento del 3% (art. 83, I comma, n. 3).

Una serie di profili di dubbia costituzionalità esaminata dalla sentenza 35 attiene alle modalità di scelta del candidato: già la sentenza 1/2014 si era occupata di liste bloccate ed aveva censurato la previsione di liste bloccate per l'attribuzione dell'interezza dei seggi della legge 270/2005, salvando esplicitamente previsioni diverse quali le liste bloccate per solo una parte dei seggi e le liste bloccate in un circoscrizione territorialmente molto contenuta, tanto da consentire la conoscibiltà dei canditati. Il sistema di scelta è giudicato sostanzialmente migliorato dalla nuova legge per la Camera, 52/2015, in quanto a fronte dell'intera lista lunga bloccata ci propone liste brevi in quanto riferite a 100 collegi piccoli, solo il capolista è bloccato e l'elettore può esprimere due preferenze tra i non capilista. La sentenza supera anche la censura riferita al fatto che solo la lista che si aggiudica il premio sceglie, tra i 340 seggi assegnatigli, solo 100 seggi col meccanismo dei capilista bloccati e 240 con quello delle preferenze, mentre le liste di minoranza satureranno la scelta dei seggi con i propri capilista, risultando probabilmente almeno tre le liste assegnatarie dei rimanenti 278 seggi: ritiene in breve, la Corte, che i capilista sono scelti dai partiti e la qualità della partecipazione in questi e della rappresentatività delle loro scelte di candidatura non può ricadere sul legislatore; svolge inoltre, la Corte, un'altra considerazione che andrebbe verificata più meditatamente: ritiene che l'effetto negativo paventato dall'ordinanza di rimessione si produrrebbe solo se i risultati delle minoranze fossero omogenei su tutto il territorio nazionale, mentre un partito più forte in alcuni colleghi otterrebbe ben più del solo capolista, aprendo quindi, anche una lista che a livello nazionale resti di minoranza, a candidati scelti con le preferenze; ma tale conclusione sembra contrastare con il meccanismo di riparto proporzionale su collegio unico nazionale della legge 52/2015 che, pur contenendo i detti collegi territorialmente circoscritti, non consente una ripartizione territoriale.

Comunque l'ampia pervasività della scelta dei candidati col meccanismo dei capilista bloccati è promossa dalla Corte con argomenti ipotetici e deboli, sorprende invece il rigore con cui è accolto, come noto, il meccanismo di rinuncia del candidato eletto in più collegi plurinominali. La Corte accoglie la lamentela dei giudici a quo (volendo proprio declinare, a quibus) secondo cui "l’opzione arbitraria affida irragionevolmente alla decisione del capolista il destino del voto di preferenza espresso dall’elettore nel collegio prescelto, determinando una distorsione del suo esito in uscita, in violazione non solo del principio dell’uguaglianza ma anche della personalità del voto, tutelati dagli artt. 3 e 48, secondo comma, Cost."; e ipotizza poi vari criteri sostitutivi dell'arbitrarietà della scelta. I limiti del giudizio di costituzionalità, che non può essere creativo o additivo, hanno prodotto il noto esito dell'introduzione, al posto dell'arbitrio del capolista, del criterio dell'estrazione a sorte per individuare il seggio in cui il canditato plurivincitore debba risultare eletto (a sacrificio dunque del più votato in preferenze di quel collegio): l'esito è indotto dal fatto che l'ablazione della prima parte dell'art. 85 del DPR 361/1957 lascia in vigore la parte che prevedeva già il criterio residuale dell'estrazione a sorte, qualora il capolista non avesse esercitato la facoltà di scelta. Ovviamente la Corte invita il legislatore a sostituire la normativa di risulta con una disposizione che introduca un criterio maggiormente rispettoso della volontà degli elettori.

La sentenza n. 35/2017 ci lascia quindi un sistema potenzialmente maggioritario alla Camera, come si percepiva già il 25 gennaio all'esito dell'udienza pubblica, in cui l'attribuzione dei seggi è determinata in proporzione al voto ottenuto dalle singole liste, salva la remota ipotesi che una di esse (o due, per puro esercizio astratto) ottenga almeno il 40% dei voti (nel qual caso scatterebbe il premio di maggioranza).

Se si condivide l'utilità di una almeno parziale armonizzazione con il sistema in vigore al Senato, non si può negare che tutti i principi e i precedenti invocati nelle sentenze n. 1/2014 e 35/2017 spingano verso l'abrogazione del premio di maggioranza alla Camera, per avvicinarsi al sistema del Senato, il c.d. Consultellum: un proporzionale con sbarramenti.

Certo, la Consulta non chiede un sistema proporzionale puro, si sofferma anche troppo, nelle sentenze citate, a suggerire alternative ai meccanismi estremi introdotti dalle leggi volute da Berlusconi nel 2005 e da Renzi nel 2015. Ma tra le possibili "correzioni" del sistema proporzionale al fine di evitare eccessiva frammentazione e di facilitare la formazione di maggioranze e il premio ispirato da Roberto D'Alimonte che crea, a tutti i costi, una maggioranza governativa c'è un abisso.

Qualunque direzione venga presa dal legislatore, sarà viziata politicamente dall'esser adottata da un parlamento determinato da una legge dichiarata incostituzionale e le cui distorsioni in termini di seggi rispetto ai voti ottenuti sono macroscopiche e continuano a generare interventi nel nostro ordinamento giuridico che a fatica, e non da oggi, trovano sostegno nel principio di continuità delle istituzioni affermato in chiusura dalla Corte nel gennaio 2014.

mercoledì 25 gennaio 2017

Anche l'Italicum è incostituzionale

Dichiarati illegittimi il ballottaggio (resta il premio al primo e unico turno per la Camera, quindi) e l'opzione di scelta del capolista che risulti eletto su più collegi (risulterà eletto dal collegio estratto a sorte, quindi).

Restano pendenti altri giudizi in diversi tribunali che potrebbero fare nuove rimessioni alla corte, ma soprattutto è da vedere cosa la corte abbia detto dei motivi di presunta incostituzionalità non accolti, non è detto che siano stati esclusi nel merito.

Il premio al primo turno solo se si supera la soglia del 40% indurrà ad accordi, altrimenti la legge funzionerà come un proporzionale con soglia al 3%. Una cosa quasi accettabile. E compatibile con il sistema del Senato (proporzionale a turno unico, ma senza premio, quindi rischio di maggioranze diverse camera/senato). Certo, non la legge auspicata, il premio di maggioranza ha una soglia non indifferente, ma è pur sempre il premio ad una minoranza, e se raggiunto stravolgerà il risultato elettorale aumentando di ben 14 punti che sono ben il 35% di 40, fino ad arrivare al 54% dei seggi della Camera. Ovviamente a sacrificio delle opposizioni che risulterebbero ridotte, complessivamente, dal 60% del risultato elettorale al 46% (quindi una sottrazione del 23% dei seggi cui avrebbero avuto diritto le opposizioni). A questo si aggiunge lo sbarramento unico del 3%, che pure è rimasto in vita.

Che il risultato sia "una legge immediatamente applicabile" non è una notizia, non poteva essere altrimenti: la consulta non poteva consegnare all'ordinamento un vuoto legislativo perché la legge elettorale è costituzionalmente necessaria, non si può togliere disposizioni la cui mancanza impedisca, in qualunque momento, di poter rinnovare organi costituzionali necessari quali le camere.

Altro aspetto giuridico rilevante è che la corte ha considerato giustiziabile una legge elettorale ancora non applicata, quindi, come rileva Felice Besostri, l'artefice principale dei ricorsi che hanno portato a questo giudizio di costituzionalità, è stabilito con questa pronuncia che "le leggi elettorali incostituzionali non devono essere applicate. Se la difesa del Governo fosse stata solo nel merito, il risultato sarebbe insoddisfacente, ma avendo chiesto l'inammissibilità di tutte le ordinanze, la sconfitta degli amici dell'Italikum è totale".

Del risultato della pronuncia del 25 gennaio c'è chi critica il sorteggio, il meccanismo, che pure ha la sua dignità, farà anche sorridere, ma è l'effetto della parziale abrogazione della disposizione: l'art. 85 del dpr del 1957 dice che chi ha vinto in più collegi deve scegliere, se non sceglie si estrae a sorte. Non chi vince, ma il collegio vinto dal vincitore. Il motivo è chiaro: non si vuole che il candidato in più collegi tenga per il bavero una decina di candidati arrivati secondi e 'desista' da quei collegi (meno uno) in cambio di favori. Bene dinque, si cancella uno dei difetti della candidatira plurima.

D.P.R. 30/03/1957, n. 361
Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati.
Pubblicato nella Gazz. Uff. 3 giugno 1957, n. 139, S.O.
85. 1. Il deputato eletto in più collegi plurinominali deve dichiarare alla Presidenza della Camera dei deputati, entro otto giorni dalla data dell'ultima proclamazione, quale collegio plurinominale prescelga. Mancando l'opzione, si procede al sorteggio.


Questo il comunicato della Corte costituzionale del 25 gennaio:
http://www.cortecostituzionale.it/…/CC_CS_20170125174754.pdf

"Oggi, 25 gennaio 2017, la Corte costituzionale si è pronunciata sulle questioni di legittimità costituzionale della legge elettorale n. 52 del 2015 (c.d. Italicum), sollevate da cinque diversi Tribunali ordinari. La Corte ha respinto le eccezioni di inammissibilità proposte dall'Avvocatura generale dello Stato. Ha inoltre ritenuto inammissibile la richiesta delle parti di sollevare di fronte a se stessa la questione sulla costituzionalità del procedimento di formazione della legge elettorale, ed è quindi passata all'esame delle singole questioni sollevate dai giudici. Nel merito, ha rigettato la questione di costituzionalità relativa alla previsione del premio di maggioranza al primo turno, sollevata dal Tribunale di Genova, e ha invece accolto le questioni, sollevate dai Tribunali di Torino, Perugia, Trieste e Genova, relative al turno di ballottaggio, dichiarando l'illegittimità costituzionale delle disposizioni che lo prevedono. Ha inoltre accolto la questione, sollevata dagli stessi Tribunali, relativa alla disposizione che consentiva al capolista eletto in più collegi di scegliere a sua discrezione il proprio collegio d'elezione. A seguito di questa dichiarazione di incostituzionalità, sopravvive comunque, allo stato, il criterio residuale del sorteggio previsto dall'ultimo periodo, non censurato nelle ordinanze di rimessione, dell'art. 85 del d.p.r n. 361 del 1957. Ha dichiarato inammissibili o non fondate tutte le altre questioni. All'esito della sentenza, la legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione".

martedì 17 gennaio 2017

Eletti o diretti

Raggi: il contratto tra candidati M5S e Garanti (non la srl Casaleggio) non è stato giudicato dal tribunale civile di Roma. E non c'è ineleggibilità. Il ricorso dell'avv. Venerando Monello (che il Tribunale chiama in dispositivo Monello Vagabondo) è composto da una sommatoria un po' caotica di principi difficilmente criticabili.

Ha un merito: ha portato nel dibattito i vincoli cui si sottopongono i candidati del M5S. Non basta contrapporre il divieto del vincolo di mandato. Quei vincoli, se rispettati, producono l'eterodirezione completa dell'eletto.

Credo che quel contratto sia radicalmente nullo (per illiceità della causa, direi) e che pertanto non vincoli gli eletti; e saranno loro a poterlo far dichiarare nullo dal tribunale, se l'altro contraente (Grillo) chiedesse i 150.000 euro o le dimissioni in caso di pretesa violazione.

Quindi spero che ogni eletto del M5S si prepari ad una sonora pernacchia dinanzi alle richieste di Grillo e dei suoi sgherri.

Ma l'effetto più grave di quel contratto è che, finché c'è, costituisce una minaccia grave alla democrazia rappresentativa che, infatti, il M5S vuole distruggere. E pretende di sottoporre le cariche istituzionali alla disciplina di partito.
È una questione di cultura politica e istituzionale enorme che una sentenza non avrebbe potuto comunque risolvere.

mercoledì 11 gennaio 2017

Referendum sul Jobs Act: inammissibile il quesito più rilevante

Il referendum sul Jobs Act, rivolto a ridurre i limiti portati all'art. 18 st.lav.: se la relatrice Silvana Sciarra, competente e seria, era favorevole all'ammissibilità, c'è stata una netta opposizione che credo abbia poco di tecnicamente plausibile, ma vedremo la motivazione della Corte costituzionale. Certo è che l'art. 75 cost. non giustifica strette (creative) ad eventuali quesiti "manipolativi", creativi, niente impone che con l'abrogazione torni il regime precedente. Parte della giurisprudenza ostituzionale stava stringendo troppo, a detta do molti, e forse leggeremo giustificazioni in questo ordine di idee che strozza uno strumento di democrazia diretta, invece di dargli il respiro che la costituzione suggerisce. Ovvero: la reintegra nel posto di lavoro è istituto già esistente (pr quel che ne resta) nell'ordinamento. Un quesito che ne avesse abrogato dei limiti non è surrettiziamente creativo (fintamente abrogativo), o manipolativo.

mercoledì 4 gennaio 2017

Populismo vs. censura

Grillo è un irresponsabile, ogni volta che parla di democrazia e informazione scompare un libro di storia, o semplicemente un dizionario. E contro trombonate simili non c'è difesa, raccolgono inevitabilmente un po' di consenso.
Certo che sui giornali o in televisione non ci sono solo notizie "vere"! Vere vuol dire attendibili e verificate, la verità si cerca, non si possiede, ma le bufale, spesso innocue (perché su boiate, cui di solito Grillo crede), e la disinformazione pesante (quella dei governi, dei guerrafondai, dei dittatori) corrono sui giornali come sul web, anche se per ragioni in parte diverse, e la contrapposizione di Grillo che attacca i giornali contro Pitruzzella che è preoccupato dal web è fuorviante, parlano di mondi permeabili, che si influenzano a vicenda, anche se hanno debolezze peculiari. Però criticare Grillo, il web e i giornali non basta. Anzi: farlo da qui credo che contribuisca a dar fiato a uno dei massimi strumenti di disinformazione e di destrutturazione del sistema.
Sì, di quel sistema, incerto e fallibile, ma sperimentato, che è appunto democrazia e informazione, e informazione in un contesto democratico, che è fatto di elementi incerti, costosi e che richiedono tempo e sostegno da parte di tutti noi: formazione scolastica e professionale, pluralismo delle testate giornalistiche, autorevolezza condivisa delle fonti; e web libero, ma controllato da utenti preparati, con alle spalle una formazione scolastica di base che impedisca scivoloni, consenta una diffusa comprensione e un controllo diffuso di qualità; e, solo in casi estremi, dove pluralismo e confutabilità di tutto da parte di tutti non basta, un controllo affidato alla magistratura. Che, almeno nel nostro sistema, non è né estratta a sorte né eletta dal popolo, ma è selezionata attraverso un percorso di studi e di concorsi e di controllo discplinare in base a leggi condivise.

v. la polemica su Pitruzzella e Grillo in una sintesi del Post:
http://www.ilpost.it/2017/01/04/grillo-m5s-giornali-giuria-popolare/