Le motivazioni della censura dell'Italicum: il sistema
parlamentare richiede una piena rappresentatività delle Camere. La Corte
ha cancellato vizi che erano anche del Porcellum, il legislatore faccia
il resto.
di Paolo Solimeno, 10 febbraio 2017
http://www.hyperpolis.it/online/le-motivazioni-della-sentenza-sullitalicum-un-primo-commento/
La sentenza n. 35 del 2017, resa nel procedimento discusso all'udienza del 24 gennaio e depositata il 9 febbraio 2017, contiene una approfondita analisi dei motivi
di costituzionalità portati alla sua attenzione dalle ordinanze di
rimessione di vari tribunali d'Italia (Torino, Messina, Genova, Perugia,
Trieste), tutti raggiunti da ricorsi, solitamente ex art. 702 bis
c.p.c., di cittadini assistiti dal gruppo di "Avvocati Antitalicum"
coordinati dall'avv. Felice Carlo Besostri.
La sentenza, lunga un
centinaio di pagine, apre con il rigetto dell'eccezione dell'Avvocatura
dello stato di inammissibilità delle questioni di legittimità sulla base
del ragionamento già svolto dalla sentenza 1/2014: le eccezioni sono
ammissibili qualora, come nel caso di specie, siano a) sufficientemente
motivate, b) vi sia una effettiva incidentalità del giudizio di merito e
di quello di costituzionalità che debbono avere oggetto diverso: la
pienezza del diritto di voto il primo, la legge elettorale sospettata di
incostituzionalità il secondo (si ribadisce che l'accesso al vaglio di
costituzionalità non può essere diretto, ma solo incidentale, come
parentesi di un effettivo giudizio di merito), c) che il diritto
azionato abbia rilievo costituzionale, d) tenuto conto dell'esigenza di
consentire che le leggi elettorali non siano sottratte al vaglio di
costituzionalità, dato che determinano la composizione di organi
costituzionali essenziali per l'ordinamento democratico-rappresentativo.
Sempre
quanto all'ammissibilità delle questioni la Corte si sofferma sul fatto
che la legge elettorale 52/2015 aveva un'efficacia differita, ma non
incerta, e che l'ammissibilità di un giudizio di accertamento di un
diritto non dipende necessariamente dall'avvenuta lesione dello stesso,
ma può derivare anche dal pericolo di una sua futura lesione. Queste
prime statuizioni rafforzano e consolidano la giurisprudenza inaugurata
dalla sentenza 1/2014 della stessa Corte costituzionale, dalla ordinanza
17.5.2013 della Cassazione e soprattutto dalla sentenza della
Cassazione 8878 del 16 aprile 2014, emanata dopo C. Cost. 1/2014, che
afferma la sussistenza del nesso di pregiudizialità delle questioni di
costituzionalità e perciò la prospettata separazione e distinzione delle domande processuali proposte dal giudice a quo e in Corte costituzionale.
Invece
è ritenuta inammissibile la questione riguardante la violazione del
procedimento di approvazione della legge elettorale, art. 72 Cost.,
attraverso anche la compressione dei tempi di discussione e votazione e
l'apposizione della fiducia: la Corte non entra nel merito, si limita a
rilevare che le ordinanze dei giudici di merito non comprendono questa
eccezione e non si può chiedere che la Corte sollevi dinanzi a sé la
questione perchè questo aggirerebbe il limite detto e perché le
questioni sono già state ritenute manifestamente infondate dai giudici a
quo. Sul punto si possono nutrire dei dubbi, non solo per la ragione
strumentale che una dichiarazione di violazione del procedimento di
deliberazione "ordinario" previsto dalla costituzione avrebbe portato
alla caducazione dell'intera legge elettorale, ma perché l'oggetto della
legge richiede un particolare rigore sul rispetto delle modalità di
discussione e approvazione in parlamento e gli ostacoli formali addotti
dalla Corte paiono non esser sufficienti ad impedire il vaglio di
legittimità.
Veniamo al premio di maggioranza: per quello previsto
dalla legge in esame al primo turno la Corte ritiene che, riconosciuta
al legislatore "un'ampia discrezionalità nella scelta del sistema
elettorale che ritenga più idoneo in relazione al contesto
storico-politico in cui tale sistema è destinato ad operare", resta un
giudizio di razionalità alla Corte che nel caso assolve la legge. La
sentenza richiama infatti i precedenti in materia che hanno richiesto
una soglia di accesso al premio di maggioranza che incida
sull'attribuzione dei seggi (sent. 1/2014, 13/2012, 15 e 16/2008) e
questa soglia prevista dalla legge 52/2015 è ritenuta ora adeguata a
contemperare gli obiettivi di rappresentatività del parlamento e di
stabilità del governo.
Invece è ritenuta fondata l'eccezione di
costituzionalità del premio al ballottaggio: infatti il secondo turno
assegna comunque il premio alla lista delle due che siano arrivate prime
per numero di voti validi al primo turno, solo perché abbiano superato
lo sbarramento del 3%. Il premio sarà ottenuto solo sul presupposto di
ottenere al secondo turno un voto più della lista concorrente, senza
alcun riferimento alla porzione di aventi diritto al voto che abbia
partecipato al secondo turno, porzione che si può prevedere che possa
essere anche molto ridotta "come prevedibile conseguenza della radicale
riduzione dell'offerta elettorale" (così argomentavano i giudici
rimettenti per questo punto, i Tribunali di Torino, Perugia, Trieste e
Genova); inoltre non sono consentiti apparentamenti o collegamenti tra
liste. La Corte ritiene che le indicazioni della sentenza 1/2014 siano
state recepite dal legislatore del 2015 nel disegnare il primo turno di
votazioni, ma il secondo è disegnato in modo illegittimo, eccessivamente
distorsivo della volontà degli elettori. Infatti è costruito come
"prosecuzione del primo turno" - e non come nuova votazione - utile solo
a individuare il vincitore del premio ed a cui non partecipano altro
che le prime due liste, le altre restando confinate (anche per il
divieto di apparentamenti) come peso in seggi al risultato percentuale
del I turno. Il premio così configurato è necessariamente un premio di
maggioranza, non un premio di governabilità e pertanto deve esserne
valutato il rispetto della "esigenza costituzionale di non comprimere
eccessivamente il carattere rappresentativo dell'assemblea elettiva e
l'eguaglianza del voto", esigenza che, dice la sentenza n. 35, non è
rispettata dal sistema di assegnazione del premio al ballottaggio perché
una lista "può accedere al turno di ballottaggio anche avendo
conseguito, al primo turno, un consenso esiguo, e ciononostante ottenere
il premio, vedendo più che raddoppiati i seggi che avrebbe conseguito
sulla base dei voti ottenuti al primo turno. Le disposizioni censurate
riproducono così, seppure al turno di ballottaggio, un effetto
distorsivo analogo a quello che questa Corte aveva individuato, nella
sentenza n. 1 del 2014, in relazione alla legislazione elettorale
previgente".
Ed ecco il passo essenziale, sul punto, della
sentenza n. 35 del 2017 che si allinea pienamente, ripetendone i
principi cardine (il confronto tra interesse legittimo alla
governabilità e principio costituzionale di rappresentatività delle
istituzioni e uguaglianza del voto): "Se è vero che, nella legge n.
52 del 2015, il turno di ballottaggio fra le liste più votate ha il
compito di supplire al mancato raggiungimento, al primo turno, della
soglia minima per il conseguimento del premio, al fine di indicare quale
sia la parte politica destinata a sostenere, in prevalenza, il governo
del Paese, tale obbiettivo non può giustificare uno sproporzionato
sacrificio dei principi costituzionali di rappresentatività e di
uguaglianza del voto, trasformando artificialmente una lista che vanta
un consenso limitato, ed in ipotesi anche esiguo, in maggioranza
assoluta". L'avverbio artificialmente è usato non a caso e più
avanti la sentenza chiarisce che l'individuazione di una maggioranza è
creata da un meccanismo, non da una scelta: "È vero che, all’esito
del ballottaggio, il premio non è determinato artificialmente,
conseguendo pur sempre ad un voto degli elettori, ma se il primo turno
dimostra che nessuna lista, da sola, è in grado di conquistare il premio
di maggioranza, soltanto le stringenti condizioni di accesso al turno
di ballottaggio conducono, attraverso una radicale riduzione
dell’offerta politica, alla sicura attribuzione di tale premio".
Giova
sottolineare, per evitare letture distorsive della sentenza, come la
"divaricazione" censurata dalla sentenza in questo passo non sia tra le
maggioranze che potrebbero generarsi nelle due camere, ma tra la
composizione di una delle due assemblee (la legge in esame vale solo per
la Camera) e la volontà dei cittadini: "Le disposizioni censurate
producono una sproporzionata divaricazione tra la composizione di una
delle due assemblee che compongono la rappresentanza politica nazionale,
centro del sistema di democrazia rappresentativa e della forma di
governo parlamentare prefigurati dalla Costituzione, da un lato, e la
volontà dei cittadini espressa attraverso il voto, «che costituisce il
principale strumento di manifestazione della sovranità popolare secondo
l’art. 1 della Costituzione» (sentenza n. 1 del 2014), dall’altro".
La
questione delle maggioranze omogenee è ripresa con un inciso a fine
sentenza, laddove rigetta l'argomento della incostituzionalità della
diversità dei sistemi elettorali previsti per le due camere, dopo la
vittoria (ovviamente le ordinanze si riferivano ad una mera ipotesi,
prima della vittoria del no al referendum costituzionale del 4 dicembre
2016). L'argomento è respinto sostanzialmente per difetto di motivazione
delle ordinanze di rimessione, ovvero per insufficiente indicazione dei
motivi per cui si ritiene che la normativa violerebbe le singole
disposizioni costituzionali invocate (artt. 1, 3, 48, 49, 51, 56); e
mancato riferimento proprio "delle due disposizioni costituzionali
che dovrebbero necessariamente venire in considerazione (cioè gli artt.
94, primo comma, e 70 Cost.) laddove si intenda sostenere che due leggi
elettorali «diverse» compromettano, sia il funzionamento della forma di
governo parlamentare delineata dalla Costituzione repubblicana, nella
quale il Governo deve avere la fiducia delle due Camere, sia l’esercizio
della funzione legislativa, attribuita collettivamente a tali due
Camere". E qui la Consulta sembra cogliere nel segno. Ma si deve
rilevare che è una soluzione di rigetto formalistica che, proprio perché
è seguita da una dichiarata preoccupazione proprio per il rischio di
produzione di maggioranze non omogenee nei due rami del parlamento,
risulta insoddisfacente: la Corte arriva a dire che la Costituzione
"esige che, al fine di non compromettere il corretto funzionamento della
forma di governo parlamentare, i sistemi adottati, pur se differenti,
non devono ostacolare, all'esito delle elezioni, la formazione di
maggioranze parlamentari omogenee". Quindi non si può dire che la
Consulta si preoccupi di "armonizzare" il sistema, perché altrimenti
avrebbe utilizzato o il motivo di censura che riguarda il mancato
rispetto del procedimento parlamentare ordinario (art. 72 Cost.) oppure
questo motivo di censura dei meccanismi diversi delle due leggi
risultanti in vigore per cancellare interamente, o almeno in parti ben
più essenziali (il premio al primo turno, anche) la legge per la Camera,
consegnando agli elettori due meccanismi omogenei. Invece si limita a
tutelare altri pur ragguardevoli principi quali la pienezza del diritto
di voto e la rappresentatività del ramo del parlamento sulla cui legge è
chiamata ad esprimersi.
Detto ciò, bisogna anche ammettere che la
Corte si premura di censurare non il turno di ballottaggio tra liste in
sé, ma la specifica disciplina che ne ha dato la L. 52/2017 quale
ballottaggio in collegio unico nazionale con voto di lista, estraneo ad
ogni esperienza straniera (quali i collegi uninominali), ammettendo che
"non potrebbe essere questa Corte a modificare, tramite interventi
manipolativi o additivi, le concrete modalità attraverso le quali il
premio viene assegnato all’esito del ballottaggio, inserendo alcuni, o
tutti, i correttivi la cui assenza i giudici rimettenti lamentano. Ciò
spetta all’ampia discrezionalità del legislatore (ad esempio, in
relazione alla scelta se attribuire il premio ad una singola lista
oppure ad una coalizione tra liste: sentenza n. 15 del 2008), al quale
il giudice costituzionale, nel rigoroso rispetto dei propri limiti
d’intervento, non può sostituirsi.
Inoltre, alcuni di questi
interventi (che, in astratto considerati, potrebbero rendere il turno di
ballottaggio compatibile con i tratti qualificanti dell’organo
rappresentativo nazionale) non sarebbero comunque nella disponibilità di
questa Corte, a causa della difficoltà tecnica di restituire, all’esito
dello scrutinio di legittimità costituzionale, una disciplina
elettorale immediatamente applicabile, "complessivamente idonea a
garantire l’immediato rinnovo dell’organo costituzionale elettivo (da
ultimo, sentenza n. 1 del 2014)". Ma tale giudizio negativo del
meccanismo non travolge nemmeno la legge per le elezioni dei comuni con
più di 15.000 abitanti, soprattutto perché lì è prevista l'elezione
diretta del sindaco (e non un sistema "parlamentare", quindi) e la
coerenza del sistema è assicurata.
Il meccanismo dell'Italicum, quindi, è inadeguato allo scopo: è "finalizzato a completare la composizione dell'assemblea rappresentativa" che
per il resto è (salvo le distorsioni conseguenti all'assegnazione del
premio) composta sulla base del risultato proporzionale nazionale. In un
sistema parlamentare la legge elettorale per ciascuna delle due camere,
se con funzioni analoghe, legislative e di sostegno della maggioranza
governativa, non può che "assicurare il valore costituzionale della
rappresentatività", mentre la disciplina censurata "trasforma e in
radice la logica e lo scopo della competizione elettorale" ed appare (la
conclusione è solo suggerita dalla Corte, ma gli elementi sono posti lì
e valutati senz'altro con questo obiettivo) come un meccanismo pensato
per eleggere una carica monocratica applicato innaturalmente e
irrazionalmente per determinare la composizione di una assemblea
elettiva.
Pertanto la sentenza ha ritenuto di dover dichiarare
l'illegittimità delle disposizioni, della legge 52 del 2015, che avevano
introdotto il secondo turno di votazione; la normativa di risulta "è
idonea a garantire il rinnovo, in ogni momento, dell'organo
costituzionale elettivo", con l'effetto che in caso di mancato
raggiungimento, da parte di alcuna lista, della soglia del 40%, si
procederà al riparto interamente proporzionale dei seggi alla Camera
(art. 83, I comma, n. 4) tra le liste che avranno superato lo
sbarramento del 3% (art. 83, I comma, n. 3).
Una serie di profili
di dubbia costituzionalità esaminata dalla sentenza 35 attiene alle
modalità di scelta del candidato: già la sentenza 1/2014 si era occupata
di liste bloccate ed aveva censurato la previsione di liste bloccate
per l'attribuzione dell'interezza dei seggi della legge 270/2005,
salvando esplicitamente previsioni diverse quali le liste bloccate per
solo una parte dei seggi e le liste bloccate in un circoscrizione
territorialmente molto contenuta, tanto da consentire la conoscibiltà
dei canditati. Il sistema di scelta è giudicato sostanzialmente
migliorato dalla nuova legge per la Camera, 52/2015, in quanto a fronte
dell'intera lista lunga bloccata ci propone liste brevi in quanto
riferite a 100 collegi piccoli, solo il capolista è bloccato e
l'elettore può esprimere due preferenze tra i non capilista. La sentenza
supera anche la censura riferita al fatto che solo la lista che si
aggiudica il premio sceglie, tra i 340 seggi assegnatigli, solo 100
seggi col meccanismo dei capilista bloccati e 240 con quello delle
preferenze, mentre le liste di minoranza satureranno la scelta dei seggi
con i propri capilista, risultando probabilmente almeno tre le liste
assegnatarie dei rimanenti 278 seggi: ritiene in breve, la Corte, che i
capilista sono scelti dai partiti e la qualità della partecipazione in
questi e della rappresentatività delle loro scelte di candidatura non
può ricadere sul legislatore; svolge inoltre, la Corte, un'altra
considerazione che andrebbe verificata più meditatamente: ritiene che
l'effetto negativo paventato dall'ordinanza di rimessione si produrrebbe
solo se i risultati delle minoranze fossero omogenei su tutto il
territorio nazionale, mentre un partito più forte in alcuni colleghi
otterrebbe ben più del solo capolista, aprendo quindi, anche una lista
che a livello nazionale resti di minoranza, a candidati scelti con le
preferenze; ma tale conclusione sembra contrastare con il meccanismo di
riparto proporzionale su collegio unico nazionale della legge 52/2015
che, pur contenendo i detti collegi territorialmente circoscritti, non
consente una ripartizione territoriale.
Comunque l'ampia
pervasività della scelta dei candidati col meccanismo dei capilista
bloccati è promossa dalla Corte con argomenti ipotetici e deboli,
sorprende invece il rigore con cui è accolto, come noto, il meccanismo
di rinuncia del candidato eletto in più collegi plurinominali. La Corte
accoglie la lamentela dei giudici a quo (volendo proprio declinare, a
quibus) secondo cui "l’opzione arbitraria affida irragionevolmente
alla decisione del capolista il destino del voto di preferenza espresso
dall’elettore nel collegio prescelto, determinando una distorsione del
suo esito in uscita, in violazione non solo del principio
dell’uguaglianza ma anche della personalità del voto, tutelati dagli
artt. 3 e 48, secondo comma, Cost."; e ipotizza poi vari criteri
sostitutivi dell'arbitrarietà della scelta. I limiti del giudizio di
costituzionalità, che non può essere creativo o additivo, hanno prodotto
il noto esito dell'introduzione, al posto dell'arbitrio del capolista,
del criterio dell'estrazione a sorte per individuare il seggio in cui il
canditato plurivincitore debba risultare eletto (a sacrificio dunque
del più votato in preferenze di quel collegio): l'esito è indotto dal
fatto che l'ablazione della prima parte dell'art. 85 del DPR 361/1957
lascia in vigore la parte che prevedeva già il criterio residuale
dell'estrazione a sorte, qualora il capolista non avesse esercitato la
facoltà di scelta. Ovviamente la Corte invita il legislatore a
sostituire la normativa di risulta con una disposizione che introduca un
criterio maggiormente rispettoso della volontà degli elettori.
La
sentenza n. 35/2017 ci lascia quindi un sistema potenzialmente
maggioritario alla Camera, come si percepiva già il 25 gennaio all'esito
dell'udienza pubblica, in cui l'attribuzione dei seggi è determinata in
proporzione al voto ottenuto dalle singole liste, salva la remota
ipotesi che una di esse (o due, per puro esercizio astratto) ottenga
almeno il 40% dei voti (nel qual caso scatterebbe il premio di
maggioranza).
Se si condivide l'utilità di una almeno parziale
armonizzazione con il sistema in vigore al Senato, non si può negare che
tutti i principi e i precedenti invocati nelle sentenze n. 1/2014 e
35/2017 spingano verso l'abrogazione del premio di maggioranza alla
Camera, per avvicinarsi al sistema del Senato, il c.d. Consultellum: un
proporzionale con sbarramenti.
Certo, la Consulta non chiede un
sistema proporzionale puro, si sofferma anche troppo, nelle sentenze
citate, a suggerire alternative ai meccanismi estremi introdotti dalle
leggi volute da Berlusconi nel 2005 e da Renzi nel 2015. Ma tra le
possibili "correzioni" del sistema proporzionale al fine di evitare
eccessiva frammentazione e di facilitare la formazione di maggioranze e
il premio ispirato da Roberto D'Alimonte che crea, a tutti i costi, una
maggioranza governativa c'è un abisso.
Qualunque direzione venga
presa dal legislatore, sarà viziata politicamente dall'esser adottata da
un parlamento determinato da una legge dichiarata incostituzionale e le
cui distorsioni in termini di seggi rispetto ai voti ottenuti sono
macroscopiche e continuano a generare interventi nel nostro ordinamento
giuridico che a fatica, e non da oggi, trovano sostegno nel principio di
continuità delle istituzioni affermato in chiusura dalla Corte nel
gennaio 2014.
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