Avrebbe dovuto approvare una nuova legge elettorale secondo le indicazioni della sentenza n. 1/2014 della Corte costituzionale (invece ha approvato l'Italicum che è peggio del Porcellum) e poi essere sciolto da un presidente della repubblica che fosse solo un po' più rispettoso del proprio ruolo. Ci vorrebbe l'esercito, per fermarli, altro che emendamenti.
I giornali si baloccano con il conflitto in atto come se fosse la solita scaramuccia, invece dovremmo chiamarlo COLPO DI STATO (scusate le maiuscole, ma qui non c'è il grassetto, c'è solo Grasso):
La Stampa: “Il governo evita i voti segreti e corre sulla riforma del Senato”, “Il presidente Grasso cassa quasi seicento emendamenti e blinda l'articolo due. Poi arriva anche il blitz del Pd anti-imboscate. Opposizioni furiose: 'Una vergogna'”. La Repubblica: “Ancora scontro al Senato. La maggioranza tiene ma è bufera su Grasso”, “Primi sì alla legge, oggi l'articolo 2. Il presidente: modifiche solo al comma 5. Il rischio scrutini segreti”. etc. ...
Per capire dove inizia questo deleterio mito della governabilità a cui si sottomette la democrazia parlamentare bisognerebbe andare indietro di qualche decennio, fino a Craxi, ma Renzi non sa nemmeno chi era Craxi, invece è un diretto discendente di quel Walter Veltroni che voleva fare "il sindaco d'Italia": così nel giugno 2007 gli rispondeva un pungente Giovanni Sartori:
Domande al nuovo leader
È proprio vero che la paura fa novanta. Il governo Prodi sbanda e inciampa ogni giorno; i sondaggi sono infausti; e in Senato è come se non esistesse, non riesce a legiferare. L'Ulivo ha ragione di essere spaventato. E così d'un tratto si è svegliato. Ha capito che il balletto dei cavalli (o ronzini) di razza che da vent'anni si bloccano l'un l'altro — la somma di impotenze dalle quali è emerso Prodi — deve finire. Pena una pessima partenza il nuovo partito, il Pd, non può nascere senza un nuovo leader che sia davvero tale.
Prodi ha escogitato un partito per rinforzarsi in sella. Paradossalmente ha costruito una macchina che lo disarciona. E così, d'un tratto, Veltroni è diventato il candidato di tutti. Quantomeno a parole. Ma facciamo come se l'ultima parola sia stata detta. Veltroni vola nei sondaggi ed ha fatto bene come sindaco di Roma. Pertanto sta negoziando da posizioni di forza e chiede sin d'ora il sostegno dei suoi sulle riforme elettorali e istituzionali che ha in mente. Ma, appunto, cosa ha in mente? È bene chiederselo subito visto che in passato (quando Veltroni era segretario dei Ds e non fece bene) sbagliò, per esempio, sul sistema elettorale. Il problema è che in media gli attribuiscono idee contraddittorie. Leggo che Veltroni intende proporsi come «sindaco d'Italia» (è lo slogan di Mario Segni), ma leggo altrove che è per il sistema semipresidenziale francese. Sono due formule diversissime. La prima è caratterizzata dalla elezione popolare diretta del capo del governo, la seconda dalla elezione diretta del capo dello Stato. Non posso credere che Veltroni le confonda. Forse le confondono i giornalisti.
L'altro giorno sentivo su una televisione «ammiraglia» che lo scarto tra voti e seggi era dovuto, nelle elezioni francesi, al premio di maggioranza. Ma la Francia non ha premio di maggioranza. Del pari ogni tanto leggo che dal referendum Guzzetta sul sistema elettorale nascerebbe un sistema bipartitico. Assolutamente no (anche se sono per il referendum, non lo vendo raccontando balle). Non è detto, allora, che chi fa confusione sia Veltroni. Però un sospettuccio, e nemmeno tanto piccolo, lo covo. L'elezione diretta del premier fu inventata in Israele con l'intento di contrastare la frammentazione partitica dovuta a un proporzionalismo che è il più proporzionale al mondo. Israele si è gia rimangiato dopo tre elezioni questo esperimento, che è risultato disastroso. Ma in Italia l'idea piace. Piacque a D'Alema (per sé) ai tempi della Bicamerale, sotto sotto piace (per sé) a Prodi, e piace anche da tempo (per sé) a Veltroni. Che l'esperimento sia fallito nell'unico Paese che l'ha tentato risulta del tutto indifferente ai nostri aspiranti premier. E ai suddetti non importa un fico che per una lunghissima maggioranza di costituzionalisti la formula del «sindaco d'Italia » sia ingannevole e impraticabile.
Non so se Veltroni abbia davvero detto che lui non si impelagherà in «astruse discussioni sulle riforme», perché gli basta sapere che «premierato significa un governo che può decidere». Ma proprio no. Le strutture di governo che danno governabilità sono parecchie: presidenzialismo, semi-presidenzialismo, premierato inglese, cancellierato tedesco. Pertanto chi non distingue pasticcia. E non vorrei che Veltroni ci introduca in una notte hegeliana nella quale tutte le vacche sono nere, e cioè sembrano uguali.
Prodi ha escogitato un partito per rinforzarsi in sella. Paradossalmente ha costruito una macchina che lo disarciona. E così, d'un tratto, Veltroni è diventato il candidato di tutti. Quantomeno a parole. Ma facciamo come se l'ultima parola sia stata detta. Veltroni vola nei sondaggi ed ha fatto bene come sindaco di Roma. Pertanto sta negoziando da posizioni di forza e chiede sin d'ora il sostegno dei suoi sulle riforme elettorali e istituzionali che ha in mente. Ma, appunto, cosa ha in mente? È bene chiederselo subito visto che in passato (quando Veltroni era segretario dei Ds e non fece bene) sbagliò, per esempio, sul sistema elettorale. Il problema è che in media gli attribuiscono idee contraddittorie. Leggo che Veltroni intende proporsi come «sindaco d'Italia» (è lo slogan di Mario Segni), ma leggo altrove che è per il sistema semipresidenziale francese. Sono due formule diversissime. La prima è caratterizzata dalla elezione popolare diretta del capo del governo, la seconda dalla elezione diretta del capo dello Stato. Non posso credere che Veltroni le confonda. Forse le confondono i giornalisti.
L'altro giorno sentivo su una televisione «ammiraglia» che lo scarto tra voti e seggi era dovuto, nelle elezioni francesi, al premio di maggioranza. Ma la Francia non ha premio di maggioranza. Del pari ogni tanto leggo che dal referendum Guzzetta sul sistema elettorale nascerebbe un sistema bipartitico. Assolutamente no (anche se sono per il referendum, non lo vendo raccontando balle). Non è detto, allora, che chi fa confusione sia Veltroni. Però un sospettuccio, e nemmeno tanto piccolo, lo covo. L'elezione diretta del premier fu inventata in Israele con l'intento di contrastare la frammentazione partitica dovuta a un proporzionalismo che è il più proporzionale al mondo. Israele si è gia rimangiato dopo tre elezioni questo esperimento, che è risultato disastroso. Ma in Italia l'idea piace. Piacque a D'Alema (per sé) ai tempi della Bicamerale, sotto sotto piace (per sé) a Prodi, e piace anche da tempo (per sé) a Veltroni. Che l'esperimento sia fallito nell'unico Paese che l'ha tentato risulta del tutto indifferente ai nostri aspiranti premier. E ai suddetti non importa un fico che per una lunghissima maggioranza di costituzionalisti la formula del «sindaco d'Italia » sia ingannevole e impraticabile.
Non so se Veltroni abbia davvero detto che lui non si impelagherà in «astruse discussioni sulle riforme», perché gli basta sapere che «premierato significa un governo che può decidere». Ma proprio no. Le strutture di governo che danno governabilità sono parecchie: presidenzialismo, semi-presidenzialismo, premierato inglese, cancellierato tedesco. Pertanto chi non distingue pasticcia. E non vorrei che Veltroni ci introduca in una notte hegeliana nella quale tutte le vacche sono nere, e cioè sembrano uguali.
Giovanni Sartori
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