di Paolo Solimeno*
Uscire dall’era Berlusconi significa superare non solo Berlusconi, ma la crisi culturale, economica e istituzionale che lo accompagna e farlo prima che il berlusconismo abbia il tempo di riprodursi.
Il saccheggio della democrazia sociale compiuto in questo ventennio ha cancellato diritti fondamentali con strumenti tipicamente piduisti: la riduzione drastica della rappresentatività delle istituzioni, la trasformazione dei partiti in comitati elettorali verticistici utili ad occupare la pubblica amministrazione voltando le spalle agli iscritti, la rottura dell’unità sindacale e della contrattazione collettiva, la trasformazione delle elezioni in una gara mediatica fra due o tre personaggi.
Andare alle elezioni è pertanto il primo passo: un governo di transizione, o di larghe intese oggi potrebbe varare solo politiche reazionarie: un risanamento del debito pubblico aggravando l’ingiustizia sociale, una nuova legge elettorale con gli stessi difetti del porcellum; forse anche un bel taglio a servizi e democrazia spacciato per legge anti-casta.
Si può però accettare che si voti per la terza volta col Porcellum solo se la sinistra si impegnerà, l’indomani, a far partire l’azione di tutto il centrosinistra dalla questione della democrazia e della legge elettorale; del resto sembra ormai evidente che l’attuale legislatura saprebbe solo reintrodurre le preferenze, mentre il vero difetto della legge approvata nel 2005 sta nel premio di maggioranza che snatura la rapprentanza (dà il 55% dei seggi ad una anche esigua maggioranza relativa nel paese) costringendo a coalizioni che non decidono niente, dilaniate da veti incrociati, il contrario della governabilità.
Dovremo sì anche cercar di superare le liste bloccate, ma non ricorrendo ai collegi uninominali del Mattarellum i cui candidati erano decisi dalle segreterie dei partiti sedute al tavolo della grande spartizione, compresa qualche concessione a partiti sotto l’1%. E ricordando a Parisi e Veltroni che il Mattarellum ci ha dato estrema frammentazione e scarsa stabilità (ben otto governi tra il 1994 e il 2005). La “governabilità” andrà garantita proprio cancellando il bipolarismo coatto e la sottomissione del potere legislativo all’esecutivo: ricostruire la democrazia oggi significa soprattutto porre il “limite al potere” come condizione della libertà dei cittadini, partendo dal recupero della centralità del Parlamento, dal ruolo degli organismi di garanzia e di una Magistratura indipendente; infine vuol dire lasciare la centralità che merita all’azione dei cittadini informati che, fra un’elezione e un’altra, si organizzano e partecipano nei sindacati, nei partiti, ai referendum e nei dibattiti pubblici. Tutto questo non ha niente a che fare col Mattarellum.
La sinistra sta tardando a farsi carico della crisi della nostra democrazia e non ammette abbastanza quanto questa crisi abbia minato i diritti civili e sociali, bisogna che imponga al legame fra democrazia e diritti la centralità culturale che merita e proponga metodi di discussione e strumenti giuridici compatibili con le istanze dei cittadini, senza inganni e apparenti scorciatoie referendarie.
articolo pubblicato su Asilo Politico, inserto settimanale del Nuovo Corriere di Firenze del 26.10.2011 http://www.ilnuovocorriere.it/
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