(mio articolo uscito su http://www.selfirenze.it/riforme-neoliberismo-sinistra-giorni-decisivi/ il 18.11.2013)
La votazione del Senato sulla decadenza di Silvio Berlusconi è diventata un’altra occasione di polemica e segue di poco il voto, sempre al Senato, che ha approvato con più di 2/3 dei membri il ddl costituzionale n. 813 di deroga all’art. 138 Cost.
La votazione del Senato sulla decadenza di Silvio Berlusconi è diventata un’altra occasione di polemica e segue di poco il voto, sempre al Senato, che ha approvato con più di 2/3 dei membri il ddl costituzionale n. 813 di deroga all’art. 138 Cost.
In entrambi i casi sembriamo costretti a
schierarci tra garantisti e giustizialisti, conservatori e riformatori,
antiberlusconiani e benaltristi. Ma sfuggiamo alle letture
stereotipate: proviamo a dirci con orgoglio riformisti e per la difesa e
l’attuazione della costituzione, per il voto palese sulla decadenza e
per la centralità del parlamento. Qualifiche e propositi tutt’altro che
incompatibili. Con una sottolineatura: volere l’attuazione della
Costituzione, oggi, vuol dire soprattutto opporsi all’austerità e al
neoliberismo[1].
Partiamo dalla Costituzione, per
importanza e perché il senso del ddl 813 è proprio tutto lì: intacca il
nodo fondamentale della nostra Costituzione repubblicana, il suo essere
più forte della legge ordinaria, il suo essere modificabile solo in
parte (e per punti limitati) con un procedimento che consenta il
dibattito pubblico, adeguata meditazione e ampie maggioranze[2].
Invece il Governo Letta ha investito tutto sull’opposto: una volta che
il ddl 813 sarà approvato (dal 10 dicembre potrà essere votato in via
definitiva dalla Camera) sarà insediato il Comitato bicamerale di 42
parlamentari che tradurrà in articolato la proposta dei saggi nominati
arbitrariamente da Napolitano; dal Comitato uscirà quindi un testo che
sarà discusso in modo spiccio nelle singole Camere, secondo un
procedimento simile a quello riservato alle leggi di bilancio, e poi
votato due volte ad intervalli ridotti (45 gg. invece che 90) da
ciascuna camera. Pochi ricordano che non solo il procedimento di
revisione è fissato dall’art. 138 (e cambiare una sessantina di articoli
con una deroga al 138 sa davvero di golpe), ma anche che l’art. 72
Cost. impone che per le leggi costituzionali si segua il procedimento
ordinario e vieta procedimenti diversi. Doppiamente incostituzionale,
dunque, il proposito di Napolitano, garante della Costituzione. Una
volta approvata la riforma dei saggi, poi, tornerà in pieno vigore
l’attuale art. 138 Cost. (e quindi la riforma facilitata sarà difficile
rimetterla in discussione!) e potremo festeggiare di aver rispettato il
“cronoprogramma delle riforme” scritto da Napolitano e letto da Letta.
Ci ritroveremo così, se il blitz sarà
riuscito, una Costituzione diversa nella forma di governo, nella
composizione e poteri delle camere e dell’esecutivo, nelle competenze di
stato e regioni, forse anche (conoscendo i fautori) nell’ordinamento
della giustizia, oltre a una nuova legge elettorale. In breve: 1. il
superamento del “bicameralismo perfetto” è cosa ampiamente condivisa, ma
può essere fatto bene e male, aggiungere a questo la riduzione drastica
dei deputati che effetti porterà alla rappresentanza? E quale legge
elettorale la determinerà? 2. maggiori poteri all’esecutivo sono il
banale refrain che ci portiamo dietro dagli anni ’80, cioè da quando
l’esecutivo ha iniziato a prevalere, a danno del parlamento[3];
il rischio maggiore credo che sia rendere ancora più vincolata la
maggioranza parlamentare ai desideri del capo del governo, azzerando la
dialettica dei controlli e dei bilanciamenti di ogni sana democrazia (e
quella francese, fascinosa ma iper – non semi – presidenzialista, soffre
proprio di questo ed è continuamente messa in discussione)[4];
3. il titolo Quinto merita una revisione, sembra che sarà in senso
lievemente accentratore; 4. speriamo che non si tocchi la giustizia, ma
novità che interessino la Costituzione dubito che possano riguardare
l’efficienza, riguarderanno la sua indipendenza. Il tutto ad opera di un
parlamento eletto con una legge che a dicembre la Corte costituzionale
dirà per la terza volta dal 2005, in forma espressa o implicita, che è
contraria alla costituzione. E per volontà di una maggioranza formata e
guidata col determinante contributo di un pregiudicato che, secondo le
leggi dello stato, è indegno di stare in parlamento. Forse il tarlo
peggiore di questa legislatura è tutto lì: tentare di farci confondere
le larghe intese con i Comitati di Liberazione Nazionale, o con l’alto
compromesso dell’Assemblea costituente, o anche con il Compromesso
storico mai realizzato, tradire lo spirito inclusivo e pluralista della
Costituzione con un intento revisionista reazionario e disperato di un
governo sostenuto da una minoranza esigua nel Paese; sottotraccia la
volontà di puntellare un’azione governativa che non facendo quasi niente
perpetua una politica economica e fiscale neoliberista che è
fallimentare quanto iniqua. Per questo la manifestazione del 12 ottobre
per la difesa e l’attuazione della Costituzione ha ragioni storiche e
culturali essenziali per la nostra democrazia, per la nostra società; e
quella piattaforma deve essere convintamente acquisita dalla sinistra
per vedervi anche, in modo già esplicito o da esplicitare, il fondamento
di una diversa politica dei diritti sociali ed economici, di una
diversa regolazione dei rapporti economici fondamentali[5].
Veniamo alla questione della attesa
decadenza di Berlusconi. La Giunta per le votazioni ha deciso il 30
ottobre che il regolamento del Senato, art. 113, richiede la votazione a
scrutinio palese per questo tipo di decisione. Che debba votare il
Senato lo dice l’art. 66 della Costituzione: “Ciascuna Camera giudica
dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte
di ineleggibilità e di incompatibilità”. La sentenza della Cassazione
che ad agosto ha condannato Berlusconi a quattro anni di reclusione e
due anni (come stabilito due mesi dopo la Corte d’Appello di Milano) di
interdizione dai pubblici uffici è appunto una “causa sopraggiunta”
imposta da un giudice con sentenza definitiva.
La legge Severino non pretende di sanzionare in modo retroattivo un comportamento, ma di escludere dal Parlamento e da altre assemblee elettive chi abbia ricevuto condanne definitive ad almeno due anni di reclusione. Il Senato è chiamato ad applicare la legge Severino. Ogni votazione in Parlamento è palese (elettronica di solito, non a chiamata), salvo eccezione. Secondo il regolamento, come ha ben spiegato Massimo Villone già il 17 settembre scorso, cui basterebbe rinviare, il voto è sempre segreto (senza bisogno di chiederlo) quando è su persone, ma qui non è su persone perché riguarda i rapporti tra istituzioni Camere e Magistratura; può poi essere segreto, su richiesta, se riguarda la libertà personale del parlamentare (art. 13 Cost. ecc.), ma non è questo il caso, non si tratta di autorizzare all’arresto o alla perquisizione, ma di consentire o meno a B. di restare in Parlamento. Quella sentenza ha limitato la libertà personale di Berlusconi, la decisione del Senato applicherà solo il dettato della legge Severino. Tra qualche giorno si voterà, quindi, per preservare l’integrità del Senato che, per legge, non può essere composto da persone condannate in via definitiva: non ci sono appigli per giudicare questa scelta del voto palese come una violazione illiberale e limitativa di prerogative parlamentari[6] e non vorrei che ci facessimo distrarre dal fatto che il voto palese è difeso anche da chi vorrebbe cancellare il divieto del vincolo di mandato (art. 67 Cost.), principio questo ovviamente discutibile (lo criticavano Rousseau e Marx). La critica di Grillo, sappiamo, mira a rendere i parlamentari esecutori fedeli del volere di chi si vuole imporre come interprete autentico del volere del popolo, non certo degli elettori che – purtroppo o per fortuna – non hanno possibilità di vincolare i propri eletti[7]. L’indegnità di Berlusconi ha ricevuto già favori e sostegni vergognosi da parte della sua maggioranza, ricordiamolo, ma qui non si tratta di fargliela pagare, ma solo di affermare il principio di legalità nel luogo dove le leggi si scrivono.
La legge Severino non pretende di sanzionare in modo retroattivo un comportamento, ma di escludere dal Parlamento e da altre assemblee elettive chi abbia ricevuto condanne definitive ad almeno due anni di reclusione. Il Senato è chiamato ad applicare la legge Severino. Ogni votazione in Parlamento è palese (elettronica di solito, non a chiamata), salvo eccezione. Secondo il regolamento, come ha ben spiegato Massimo Villone già il 17 settembre scorso, cui basterebbe rinviare, il voto è sempre segreto (senza bisogno di chiederlo) quando è su persone, ma qui non è su persone perché riguarda i rapporti tra istituzioni Camere e Magistratura; può poi essere segreto, su richiesta, se riguarda la libertà personale del parlamentare (art. 13 Cost. ecc.), ma non è questo il caso, non si tratta di autorizzare all’arresto o alla perquisizione, ma di consentire o meno a B. di restare in Parlamento. Quella sentenza ha limitato la libertà personale di Berlusconi, la decisione del Senato applicherà solo il dettato della legge Severino. Tra qualche giorno si voterà, quindi, per preservare l’integrità del Senato che, per legge, non può essere composto da persone condannate in via definitiva: non ci sono appigli per giudicare questa scelta del voto palese come una violazione illiberale e limitativa di prerogative parlamentari[6] e non vorrei che ci facessimo distrarre dal fatto che il voto palese è difeso anche da chi vorrebbe cancellare il divieto del vincolo di mandato (art. 67 Cost.), principio questo ovviamente discutibile (lo criticavano Rousseau e Marx). La critica di Grillo, sappiamo, mira a rendere i parlamentari esecutori fedeli del volere di chi si vuole imporre come interprete autentico del volere del popolo, non certo degli elettori che – purtroppo o per fortuna – non hanno possibilità di vincolare i propri eletti[7]. L’indegnità di Berlusconi ha ricevuto già favori e sostegni vergognosi da parte della sua maggioranza, ricordiamolo, ma qui non si tratta di fargliela pagare, ma solo di affermare il principio di legalità nel luogo dove le leggi si scrivono.
Spunta ora (11 novembre) un’altra idea
di Cronon, Gianni Letta re dell’emergenza: un decreto legge per
approvare una… legge elettorale prima che si pronunci la Corte
Costituzionale. Non se ne farà niente se anche Quagliariello è
contrario, ma solo che venga l’idea che si possa con d.l. dettare le
regole di formazione del parlamento, contro l’art. 72 Cost., contro la
Corte costituzionale e contro principi davvero base dello stato di
diritto non può che far gridare al golpe pensato che già è grave.
Allora il senso di questi giorni, in cui
registreremo la decadenza del senatore Berlusconi e al contempo la
formalizzazione del suo progetto di riforme risalente a vent’anni fa[8],
sta nel monito che ci consegnano: finito (o quasi) il duce di Forza
Italia, sono ben vive le forze e le norme che vogliono consolidare il
governo neoliberista dell’economia e il conseguente sacrificio
dell’impianto egualitario e pluralista della nostra democrazia
costituzionale. Certo, questo appare il proposito essenziale del governo
delle larghe intese. Ma ad una sinistra che voglia proporre un progetto
sociale e culturale diverso non basta contrastare un’insegna, è
necessario svelarne l’oggetto sociale, la funzione reazionaria delle
larghe intese e contrastare chiunque se ne faccia portatore, sennò si
limita a partecipare – fra l’altro da superfluo gregario – ad un gioco
di potere.
Paolo Solimeno
Forum Democrazia giustizia diritti SEL Firenze
Forum Democrazia giustizia diritti SEL Firenze
–
[1] “La costituzione è
alternativa al liberismo e all’austerità” è proprio il titolo di un
convegno organizzato a giugno a Firenze da tante associazioni e
movimenti di difesa della costituzione con una inedita convergenza di
giuristi, economisti, politici ecc. – http://www.syloslabini.info/online/appello-per-la-democrazia-della-nostra-costituzione-settimana-fiorentina-per-la-costituzione/
[2] Su questo, chiaro e non confutato dai “saggi”, Alessandro Pace http://www.costituzionalismo.it/articoli/444/
[3] “Non esiste affatto
un problema di governabilità in Italia e negli altri paesi europei. I
grandi poteri che oggi dirigono l’Europa riescono benissimo a far fare i
“compiti a casa” ai governi ad essi sottoposti. Sono i popoli ad essere
completamente privi di potere.” Raniero La Valle http://temi.repubblica.it/micromega-online/da-cossiga-a-jp-morgan-il-lungo-assedio-alla-costituzione-intervista-a-raniero-la-valle/
[4] Gianni Ferrara:
“L’elezione diretta del governo elude la rappresentanza, la comprime, la
dissolve nell’investitura del governo sostanzialmente immunizzandolo
dalla responsabilità politica, che evapora nello spazio e nel tempo.
Nello spazio, per l’enormità che lo allontana dal corpo elettorale. Nel
tempo, per la distanza che separa una elezione politica da quella
successiva. Un esercizio efficace degli strumenti predisposti per far
valere la responsabilità politica da parte del Parlamento è d’altronde
frustrato dalla disciplina di partito che collega strettamente
maggioranza e governo. Soprattutto nei sistemi bipartitici o, peggio,
bipolari. Quelli che, con effetti disastrosi per la credibilità della
rappresentanza, mediante sistemi elettorali ad altissima distorsione
vengono raccomandati o addirittura imposti per garantire la
“governabilità” su http://www.costituzionalismo.it/articoli/439/
[5] “Governabilità… Si
può dire, con sufficiente sicurezza, che si sia trattato e si tratti di
una tecnica coattiva funzionale all’esecuzione di imposizioni derivanti
da esigenze altre rispetto a quelle proprie dei sottoposti e per
obiettivi non scelti da soggetti, istituzioni, organi che li
deliberano.” http://www.costituzionalismo.it/articoli/439/
[6] Fu ad esempio palese il voto sull’autorizzazione all’arresto di Lusi su pressante richiesta del PDL http://www.articolo21.org/2013/10/segreto-o-palese-do-you-remember-lusi/
[7] Tale constatazione
ne porta un’altra: se i parlamentari fossero vincolati, in parlamento
non si svolgerebbe alcuna discussione perché nessuno cercherebbe di
convincere qualcuno che per legge non può cambiare opinione rispetto al
mandato ricevuto ed è questo uno degli argomenti principali a sostegno
del divieto di vincolo di mandato (cfr. Bernard Manin, Principi del
governo rappresentativo, 2010, pag. 229).
[8] Scorrere il
progetto della Commissione Speroni del 1994 è esercizio utile, vi sfido a
cercare le differenze con la proposta dei “saggi” di oggi: http://www.camera.it/parlam/bicam/rifcost/dossier/prec08.htm
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