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venerdì 6 febbraio 2015

Satira: "quid vetat me ridentem dicere verum?"

pubblico un brano di un bell'articolo di Vincenzo Carbone (credo sia lui indagato per l'assegnazione del processo Berlusconi accusato di aver spostato senza giustificato motivo la causa Mondadori dalla sezione tributaria alle sezioni unite della Suprema Corte in cambio di un incarico di prestigio dopo la pensione, ma questo non diminuisce il pregio dello studioso).
Aggiungo solo un esempio per evitare confusioni: quando Calderoli apostrofa il ministro Kyenge come "orango" non fa satira, quindi non può essere svincolato dai limiti posti al diritto di critica, ma non al diritto di satira: la prima deve attenersi al vero e all'interesse pubblico, la satira non ha certo questi limiti; ma non basta: Calderoli dileggia in modo ingiurioso una persona per ragioni estranee - anche - al mandato parlamentare, pertanto dovrebbe esser ritenuto perseguibile. Poi toccherebbe certo alla magistratura decidere se quelle affermazioni sono reato, ma non credo proprio che spettasse al parlamento negare l'autorizzazione a procedere usando le giuste prerogative parlamentari per proteggere un dileggio che di politico, di connesso al mandato parlamentare, non ha niente. C'è un livello ulteriore da valutare: la "istigazione all'odio razziale", che credo si aggiunga e non sostituisca la fattispecie generale dell'ingiuria.

L'articolo che copio in parte qui sotto è uscito su "Danno e Responsabilità" nel 2001 a commento della sentenza della Corte di Cassazione, III sezione civile, 7 novembre 2000, n. 14485 che trattava del caso di Bruno Vespa che si è sentito offeso da Giuliano Pansa che lo apostrofò come "coniglietto mannaro", come sintetizzato nelle massime, affermò: "Nell'esercizio del diritto di satira politica, il limite della continenza può ritenersi superato quando nello scritto vengano poste in dileggio le fattezze e le qualità strettamente personali della persona, senza alcun nesso col contenuto "politico" dello scritto"
"Il limite della continenza verbale, il cui superamento rende illecito l'esercizio del diritto di critica, va osservato anche nell'esercizio della critica politica, se pure in questo caso possa essere valutato con minor rigore, e tenendo conto della circostanza che la critica politica è per sua natura caratterizzata dall'asprezza dei toni." Però sembra che la Cassazione, come osserva Carbone in altra parte del saggio, faccia confusione tra critica e satira.

Si può mettere la mordacchia alla satira?
di Vincenzo Carbone
L'ubi consistam della satira
Con questa decisione si ribadisce quel trend giurisprudenziale di legittimità poco incline a comprendere e valutare la satira (1) , nonostante l'insegnamento di Giovenale: difficile est satiram non scrivere (2) .... si natura negat, facit indignatio versus qualemcumque potest (3) .
Sembra quasi che l'austerità un po' grigia, un po' polverosa del Palazzaccio metta in fuga quella che è l'essenza della satira: la rottura dei criteri di razionalità e di perbenismo (4) , «mediante un colpo basso che ti arriva addosso all'improvviso» (5) . Manca lo specchio dove gli osservatori vedono deformate le facce degli altri tranne che la loro (6) .
Il successo di una battuta satirica è indice e misura della sua validità, in quanto il vero giudice della satira è il pubblico che non la capisce, perché parafrasando Giulietta nel dialogo con Romeo, «se una rosa è chiamata con un nome diverso non profuma più» (7) . Ma se la satira è valida e approvata cum laude , il criterio di validità non può non costituire, come rilevato dai giudici di merito, agli inizi degli anni novanta, efficacia scriminante. Efficacia scriminante perché la satira è un diritto soggettivo di rilevanza costituzionale, rientrante nell'ambito di applicazione dell'art. 21 Cost. oltre che degli artt. 9 e 33 che tutelano la libertà di espressione del messaggio culturale ed artistico, anche in sede di spettacolo o manifestazione artistica, tale da raggiungere elevati livelli creativi ed estetici (8) . Efficacia scriminante in quanto il diritto di satira, a differenza del diritto di cronaca e di quello di critica, non assume l'informazione come proprio obiettivo primario o anche solo concorrente ma in coerenza con la propria natura realizza l' intrusione nel privato infrangendo la notorietà del personaggio messo alla berlina, stabilendo un circuito di intesa tra la satira e il pubblico, in base ad un nesso di coerenza causale tra la «qualità» della dimensione pubblica del personaggio ed il contenuto artistico espressivo sottoposto ai percettori del messaggio (9) .
La satira come espressione rilevante del momento artistico della manifestazione del pensiero (10) non può obbedire ad alcun canone di razionalità espressiva né essere commisurata a parametri astratti di adeguatezza. La sua razionalità, all'opposto, sta nell'essere condotta con moduli fittizi ed irrazionali, scandita su sequela di elementi «finti» o «esagerati», al dichiarato scopo di irridere il personaggio o la vicenda.
La satira desta attenzione e ilarità, e a volte sorpresa, perché intende shockare gli ascoltatori, accostando concetti elevati e banali con toni pungenti, ironici, mordaci, sarcastici, irriverenti, iconoclastici (c.d. anticlimax) (11) . L'utilizzazione di una vis comica innata costituisce il mezzo ma non il fine, a differenza del genere burlesco o frizzante, in quanto quel che rileva è l'intima, raffinata consapevolezza di una forte intelligenza, spinta dall' indignatio , che riesce a vedere oltre la siepe davanti alla quale si fermano gli altri comuni mortali «non indignati» (12) .
Alla funzione originaria della satira che castigat ridendo mores combattendo il malcostume e la corruzione presente nella società o l'ascesa al potere di nuovi ricchi o di nuovi potenti (13) , se ne è aggiunta un'altra più moderna che ha di mira soprattutto i nuovi status symbol , atteggiamenti o comportamenti, ispirati al consumismo, al successo economico che tralasciano o dimenticano fondamentali valori umani. Valori che hanno trovano nella satira validi difensori: quid vetat me ridentem dicere verum? (Orazio) (14) o «ridere e beffarsi essere medicina certissima del vivere comune» (Boccaccio) (15) .
In questa prospettiva di evoluzione se non di cambiamento va collocato l'evolversi della satira che, grazie alla potenza e alla diffusione dei mass-media , ha perso quel carattere sfrenato da «fescennino», a volte licenzioso e ruvido, se non volgare, sviluppandosi positivamente. Infatti satira e caricatura per essere lecite, oltre che accettate devono avere lo spessore di elevati livelli creativi, di raffinati profili estetici, di un tocco di gradevole sens of humour . La satira dei mass media è satira borghese , meno sguaiata e volgare, meno aggressiva e spregiudicata, divenuta toothless , elegante e raffinata che non morde, né addenta e tuttavia se evita agli autori, bastonate e olio di ricino, non riesce a scongiurare condanne penali o risarcimento dei danni sulla base dell'attuale orientamento interpretativo fortemente repressivo.
Infatti, sebbene i giudici di primo grado per lo più riconoscano che la satira, detta anche l'arma incruenta del sorriso, abbia la funzione positiva di «moderare i potenti, smitizzare ed umanizzare i famosi, umiliare i protervi», o che «lo scherzo, la risata, il comico, l'umorismo in genere, stemperano la gravità di qualsiasi evento e di qualunque affermazione», (16) tuttavia nei gradi successivi di giudizio, la situazione spesso si capovolge e la satira diviene fonte del risarcimento dei danni, specie se il target è un uomo politico anche al di fuori dell'attività parlamentare (17) , o un partito (18) , o un giornalista (19) o un soggetto pubblico più meno importante, ma con le dovute differenze della casistica per cui dare dell'Azzeccarbugli ad un avvocato è satira con efficacia scriminante (20) , ma la situazione si capovolge se l'espressione è rivolta ad un magistrato (21) che non può essere paragonato, tanto per restare in tema, neppure a Don Abbondio (22) .
(...)
______
note
(1) La parola nasce come forma femminile dell'aggettivo satur per sottolineare l'abbondanza, la pienezza o anche la completezza di una poesia con versi buffi ironici e graffianti o di un piatto stracolmo di primizie offerte agli dei o infine una lex satura di allegri e vivaci componimenti poetici. Quest'ultimo concetto è utilizzato da Knoche, La satira romana, traduzione italiana di Torti, Brescia, 1979, 20; sul punto, Campos, La satira latina, in Introduzione allo studio della cultura classica, Milano, 1972 , vol. I, 295, nonché l'ampia trattazione di Balestra, La satira come forma di manifestazione del pensiero, Milano, 1998.
(2) Satira I, verso n. 30 in Giovenale, Le satire, a cura di Vitali, Bologna, 1979, vol. I, 6.
(3) Se pur natura non mi fe' poeta, l'indignazione suggerisce i versi, quali io so farli: libera traduzione dei versi 79 e 80 della satira prima: Giovenale, Le satire, cit., vol. I, 10.
(4) Dominichelli, La satira è de-costruttiva (de-compositiva), in Brilli, Dalla satira alla caricatura, Bari, 1985, 179.
(5) Il concetto di Eco è riportato da Pret. Roma 4 marzo 1989, in Dir. informazione e informatica, 1989, 528, con nota di Corasaniti, Libertà di sorriso, nonché in Alpa, Bessone, Carbone, Atipicità dell'illecito, vol. II, Milano, 1993, 164.
(6) La battuta è di Jonathan Swift (Dublino, 1667-1745), noto come l'autore de I viaggi di Gulliver, inserita nell'eroicomica Battaglia dei libri, un contributo alla polemica degli antichi e dei moderni, scritta nel 1697 in difesa di un saggio di Temple (Saggio sulla cultura antica e moderna, 1690).
(7) Gilmore, Products Liability: A Commentary, in 38 Univ. Ch.L.Rev., 1970, 109. Nel testo originario, invece, Giulietta chiede a Romeo di rinunziare al nome perché «una rosa anche chiamata con un'altra parola conserverebbe lo stesso odore soave»: Shakespeare, Romeo e Giulietta, atto II, scena seconda, in Tutte le opere, Firenze, 1964, 301.
(8) La citata decisione Pret. Roma 4 marzo 1989, in Dir. informazione e informatica, 1989, 528, con nota di Corasaniti, Libertà di sorriso, nega nel caso Tognazzi la richiesta tutela cautelare.
(9) Pret. Roma 16 febbraio 1989, in Foro it., 1990, I, I, 3038, con nota di Chiarolla, Satira e tutela della persona: il pretore e la «musa infetta», nonché in Alpa, Bessone, Carbone, Atipicità dell'illecito, vol. II, 170. In questo caso la tutela cautelare è concessa per difetto del nesso di coerenza causale tra la «qualità» della dimensione pubblica del personaggio ed il contenuto artistico espressivo: «non perché non possa il comico dare dell'imbecille ad un personaggio noto, ma perché, se tale è il suo obiettivo satirico, ha il dovere di riferirsi specificamente a qualità, vizi, difetti e prodotti di quel personaggio, traendo da essi, con aperta e coraggiosa lealtà, gli spunti essenziali della sua vis comica, instaurando con il pubblico l'anzidetto «circuito d'intesa» su oggetti noti».
(10) Significativo il «pamphlet» di Zeno Zencovich, Alcune ragioni per sopprimere la libertà di stampa, Bari, 1995, ove opportunamente si distingue tra informazione, intesa come prodotto-contenuto, e mass-media, come strumenti che consentono la veicolazione dell'informazione e si rileva che la libertà di stampa è troppo importante per essere lasciata solo ai professionisti della vendita di notizie.
(11) Sull'anticlimax, come brusco accostamento di concetti opposti come sacro e profano, serio e faceto, raffinato e volgare, Highet, The anatomy of satire, 1962, 18.
(12) È il c.d sentimento del contrario teorizzato nel saggio del 1908 da Pirandello, L'umorismo, III ed., Milano, 1990, 135. Nella prefazione all'Enciclopedia della satira politica, di Panorama, 1978, 3, Pertini ricorda di non esser stato mai ferito da una vignetta satirica; anzi tutte le mattine esaminava attentamente gli attacchi satirici in modo da poter correggere eventuali errori.
(13) Perché non ricordare Aristofane che innamorato della vecchia Atene cercò di ridicolizzare l'ascesa dei nuovi ricchi: Barbero, Civiltà della Grecia antica, vol. 2, Milano, 1995, 335. Sui rapporti tra la satira greca e quella romana, Balestra, op. cit., 4.
(14) Che opportunamente si domanda: chi può vietare di dire la verità ridendo?: Orazio, Satire, I, 1, 24-25, Padova, 1949, 17. Ma diffusa è anche l'altra versione «quamquam ridetem dicere verum quid vietat?», Orazio, Satire ed epistole, Milano-Messina, 1950, 7.
(15) Boccacio, che non è un autore giuridico, come tale non citabile ai sensi del comma 3 dell'art. 118 disp. att. c.p.c. viene espressamente richiamato e virgolettato dalla ricordata decisione di Pret. Roma 4 marzo 1989, in Alpa, Bessone, Carbone, Atipicità dell'illecito, vol. II, 170 e in Foro it., 1990, I, I, 3038.
(16) Confrontate in motivazione le citate decisioni di Pret. Roma 4 marzo 1989, in Dir. informazione e informatica, 1989, 528, con nota di Corasaniti, e Pret. Roma 16 febbraio 1989, in Foro it., 1990, I, I, 3038, con nota di Chiarolla, entrambe in Alpa, Bessone, Carbone, Atipicità dell'illecito, cit. vol. II, 164 e 170.
(17) Guareschi fu condannato per aver raffigurato Einaudi passare in rassegna corazzieri e bottiglie di Nebbiolo (Cass. pen. 3 marzo 1952, Guareschi, in Rep. Foro it., 1952, v. Presidente della Repubblica, n. 2 e 3) e, più di recente, la condanna dei giudici di merito romani secondo cui la trasmissione Va pensiero, ispirata allo scandalo delle «carceri d'oro», ha danneggiato l'identità di un partito politico, il P.s.d.i., Trib. Roma 26 giugno 1993, in Dir. informazione e informatica, 1993, 985; in Giur. it., 1994, I, 2, 341 con nota di Giampieri, Satira e reputazione del partito politico.
(18) Sull'applicazione dell'esenzione soggettiva di cui all'art. 68, comma 1, Cost. , non modificato sul punto dalla legge cost. 9 ottobre 1993, n. 3, Cass. 5 maggio 1995, n. 4871, in Corr. giur., 1995, 1392, con nota di Catalano; Cass. 7 febbraio 1996, n. 982, con nota di Chiarolla, in questa Rivista, 1996, 456, nonché le sentenze di merito App. Roma 16 gennaio 1991, in Foro it., 1992, I, 942 e Trib. Roma 7 novembre 1986, ivi, 1988, I, 587. Ancora sui riflessi giornalistici, App. Napoli 12 giugno 1992, in Corr. giur., 1993, 198 con nota di Canepa.
(19) È ormai abitudine attaccare sul versante giudiziario giornalisti e direttori di testate con richieste di sentenze di condanna per diffamazione o per risarcimento del danno che trovano ascolto sul versante giudiziario: «Quereliamo anche noi ...» è il titolo dell'Espresso n. 47 del 27 novembre 1997, 75.
(20) Per Trib. Monza 17 gennaio 1992, in Dir. informazione e informatica, 1993, 132 secondo cui la qualifica rivolta ad un avvocato di «Azzeccagarbugli di turno» non è lesiva perché assume solo il significato non diffamatorio di «soggetto cavilloso».
(21) La qualifica di Azzegarbugli, riferita ad un magistrato, costituisce espressione di palese disprezzo verso le formalità del processo: Pret. Roma 31 ottobre 1991, in Dir. informazione e informatica, 1993, 134. Sulla repulsione del Manzoni per i giuristi in genere, Cattaneo, Carlo Goldoni e Alessandro Manzoni, Milano, 1991, 180.
(22) Trib. Milano 27 dicembre 1995, in questa Rivista, 1996, 225, con commento di Casentino, La tonaca di don Abbondio e la toga del magistrato.

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