Il referendum del 17 aprile è l'ultimo, in sé non decisivo, quesito sulla disciplina delle estrazioni di carburanti fossili nel nostro Paese, altri cinque sono stati evitati dal legislatore accogliendo le richieste delle regioni (ben 9 regioni hanno infatti chiesto il referendum).
Provo a toccare due temi in breve: astensione e interessi economici in gioco.
1. Ora che Napolitano e Renzi hanno invitato a disertare le urne si apre una polemica nella polemica: è legittimo invitare all'astensione? Ritengo che sia legittimo farlo da parte di qualsiasi cittadino, quindi anche da parte del presidente emerito o del presidente del consiglio, legittimo nel senso che non è vietato. Ma le massime cariche istituzionali hanno un ascendente sugli elettori che, sin dall'Italia liberale, suggerì di sanzionare interventi da parte di autorità (pubblici ufficiali, ministri del culto) che inibissero la libertà dell'elettore. Se il pubblico ufficiale non si adopera per indurre l'elettore ad astenersi (art. 98 T.U. 1957) ma semplicemente esprime un'opinione, non si configura il reato (più rigido è G. Incorvati qui: http://www.criticaliberale.it/news/235246 ). Ma è comunque un comportamento politicamente inqualificabile. Specie se viene da due personaggi - Renzi e Napolitano - che fanno di tutto per trasformare la nostra democrazia parlamentare in un sistema "sudamericano".
2. A chi conviene lasciare senza limiti le concessioni alle trivelle: al referendum se si vota Sì è per abrogare la norma che consente la durata dei permessi per estrarre idrocarburi in mare, entro 12 miglia dalla costa, fino all’esaurimento del giacimento (cioè a piacere, è la compagnia petrolifera quanto starci); la durata diventerebbe limitata, fino al termine della concessione (30. In pratica, se il referendum dovesse passare - raggiungere il quorum con la vittoria del sì - le piattaforme piazzate attualmente in mare a meno di 12 miglia dalla costa verranno smantellate una volta scaduta la concessione
Gli argomenti degli astensionisti sono o benaltristi (le concessioni entro le 12 miglia sono poche, se si chiudono poi dobbiamo comprare all'estero, riguardano metano piuttosto che petrolio, non è così che si incentivano le rinnovabili, etc.) o inutilmente polemici (ce l'avete con Renzi a prescindere, non è un referendum tecnico, ma politico) o infondati (riduzione dell'occupazione: ma non si chiudono, si fissa una scadenza e le concessioni potrebbero essere comunque rinnovate, quindi di che si parla?). Certo i quesiti proposti da ben 10 regioni erano sei, il governo ha dovuto accogliere ben cinque modifiche legislative per evitare i referendum. Il fatto che questo ultimo punto non sia stato accolto spontaneamente ne fa forse una questioni non così irrilevante.
Nessuno che affronti con chiarezza il tema, vitale o meno che sia, della durata delle concessioni, unico effetto del referendum. Una concessione senza scadenza ha senso? Un patrimonio energetico che è sfruttabile ad libitum, con norma che sembra scritta dalla compagnia petroifera concessionaria, invece che dallo Stato concedente, grida vendetta.
Si aggiunga però un dettaglio forse decisivo, come ad esempio dice Francesco Sylos Labini secondo il quale il dilemma vero è "se dare o no concessioni illimitate di beni che appartengono a tutti che apre questa possibilità: se i titolari delle concessioni ogni anno e da ogni giacimento estraggono una quantità di gas (da loro auto-certificato) pari o inferiore ad una certa soglia (franchigia) non versano neppure un euro (royalty) allo Stato: perciò più durano le concessioni e meno interesse hanno a superare la franchigia".
Forse questo spiega perché tengano così tanto alla durata, i concessionari. Quindi da una scadenza certa delle concessioni ci sarebbe un vantaggio economico per lo Stato. Infatti le royalties per le estrazioni in mare vanno tutte allo Stato, non sono cifre enormi, ma potrebbero essere più alte: http://espresso.repubblica.it/…/referendum-trivelle-10-cose… .
Forse il sistema attuale conviene davvero solo alle compagnie petrolifere. Una durata controllabile induce le compagnie ad estrarre in tempi certi l'estraibile pagando i pur bassi diritti di estrazione. Non è una questione vitale, la politica energetica passa soprattutto da altre scelte, ma credo che sia comunque una questione su cui esercitare una scelta meditata.
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