di Paolo Solimeno
al volume di Renzo Forni e Francesca Giovannini
“Antifascisti e Partigiani di Impruneta – storie, testimonianze e documenti inediti”, Florence Art Edizioni,
presentato il 24.10.2019 alle 17.30 nella Sala del Gonfalone della Regione Toscana, via Cavour 4, a Firenze.
La rifondazione dello stato e della società dopo la caduta della dittatura fascista e la fine della II Guerra Mondiale è avvenuta in un clima al contempo drammatico e felice: sulle macerie della guerra si percepiva l’obbligo morale di distinguersi dal passato di repressione e violenza del regime e la libertà di farlo con la guida di un’umanità nuova, emersa durante gli anni della Resistenza, unita da un nemico comune che non era solo un esercito invasore, ma l’esperienza di una sudditanza.
Alla formale caduta del fascismo decretata dal voto al Gran Consiglio del 25 luglio 1943 – cui seguirà la nomina immediata da parte del Re del maresciallo Pietro Badoglio a capo del governo che si affretta a dichiarare che “la guerra continua” – segue l’armistizio dell’8 settembre che finalmente dichiara cessate le ostilità contro gli Alleati.
Lo Stato si ritrae, emerge una moltitudine che sarà presto capace di acquistare una legittimità formale e morale, ma intanto alcuni giuristi dubitano: Santi Romano, fra i massimi giuristi del tempo, nel 1944 accusa i partiti antifascisti di creare instabilità, uccidere e perseguitare gli avversari, di non avere infine legittimità, in quanto responsabili del gesto rivoluzionario, nel dettare norme giuridiche1.
Intanto altri scriveva, dopo aver passato in rassegna le forze della resistenza nell’Europa occupata dai nazisti, “che cosa vogliono questi uomini? Per che cosa combattono? Vogliono tutto ciò che il fascismo e il nazismo non sono. Libertà, giustizia, pace, fraternità, patria, ecco le parole che risuonano in fondo a tutti i cuori dei combattenti”2
Si trova infatti nella “scelta”3 dei partigiani che sono per la democrazia e contro il nascente fascismo, in qualche caso sin dal Biennio rosso del 1919-21 e della reazione alle prime violenze fasciste, ma soprattutto nella scelta di quanti prendono le armi l’estate del ’43 dopo la caduta del fascismo (e la scelta cruciale sta qui nel rifiutare il reclutamento della Repubblica Sociale di Salò) il gesto collettivo che fonda un nuovo ordine morale e costituzionale.
Tra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945 il re a Brindisi e il redivivo fascismo della Repubblica di Salò esercitano una sovranità solo formale, di fatto domina a Nord l’occupazione nazista, a Sud l’esercito degli Alleati. Anche i Comitati di Liberazione Nazionale (nati già il 9 settembre ’43) sembrano raccogliere una legittimazione dal basso, dalle vicende individuali della resistenza di singoli contro il nazifascismo, e fra i Comitati di Liberazione è da sottolineare l’indipendenza e autonomia del Comitato Toscano che, oltre ad essere come gli altri organismo di direzione della resistenza, si impose, senza intermediari, come struttura di governo del territorio liberato dall’occupazione nazifascista. Tra il 1943 e il 1945 ci sarebbe solo la sovranità individuale dei partigiani che hanno impugnato le armi per riempire il vuoto della sovranità aperta dallo sprofondamento dello Stato fascista; e qui starebbero le fondamenta del nuovo patto di cittadinanza secondo un recente saggio4, una cesura imposta da una moltitudine che insorge e crea una legittimità del nuovo agire giuridico. E solo in un secondo tempo si organizzeranno i partiti, fino ad arrivare al momento elettorale del 2 giugno 1946 in cui si votò il referendum fra monarchia e repubblica e si elesse l’Assemblea costituente già prevista dal Decreto luogotenenziale del 25 giugno 1944; sul momento partitico, nato dai CLN, come unico davvero legittimante poneva invece l’accento la produzione giuridica tradizionale, primo fra tutti Costantino Mortati già nel 1945.
Nell’assemblea costituente, eletta con sistema proporzionale, prevalsero i tre grandi partiti di massa: la Democrazia Cristiana col 35% dei voti, il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (20,68%) ed il Partito Comunista Italiano (18,93%); pochi i voti alla destra (Liberali, Qualunquisti, Monarchici e UDN), pochissimi al Partito d’Azione (1,45% e 7 seggi).
I lavori della costituente, composta da 556 parlamentari, durarono quasi 18 mesi eleggendo al proprio interno una Commissione di 75 membri incaricata di redigere il testo della Carta; questo fu proposto a gennaio 1947 all’assemblea generale per la discussione e sarà approvato il 22 dicembre 1947 con 458 voti a favore su 520 votanti (88% di consensi).
La nostra Costituzione è il frutto del confronto5 tra diverse culture politiche, socialista e comunista, liberaldemocratica e cristiano sociale. Tutte dettero un contributo importante, ma riuscendo a generare un “compromesso” fra le diverse ispirazioni dei partiti che le esprimevano: i “partiti totali” esaltati da Mortati riuscirono cioè ad esprimere una volontà comune, non restarono parti, espressione di ideologie o interessi di classe, ma disegnarono un comune principio costituzionale6.
Le premesse ideologiche del confronto posero sul piatto la tendenza operaista e statalista delle culture socialiste e marxiste, quella derivante dalla rivoluzione francese, ma aggiornata dalla sensibilità sociale e dell’equilibrio fra diritti sociali e di libertà, della cultura liberaldemocratica (e liberalsocialista) e quella del rispetto della persona e delle formazioni sociali della formazione cristiano sociale, la più recente nell’espressione partitica. Ma la sintesi è un passo avanti, non un collage.
La nostra costituzione si presenta anzitutto come una delle più avanzate espressioni del costituzionalismo democratico il cui paradigma sta nel riconoscere la rappresentatività delle istituzioni, strumento di espressione della sovranità popolare, e la piena affermazione e tutela sia dei diritti di libertà che dei diritti sociali; ma nella particolare declinazione della “democrazia sociale” che è insieme uguaglianza sostanziale, progetto di trasformazione e partecipazione popolare. E si consegna al legislatore ordinario, alle maggioranze future, non solo un vincolo procedurale e formale secondo il quale la legge è tale se approvata dalla maggioranza dei parlamentari eletti e promulgata dal Presidente della Repubblica, ma anche un vincolo di contenuto7: la Costituzione, quale norma sovraordinata e primaria, definisce e tutela principi e diritti fondamentali e garantisce la loro inviolabilità.
Fra i diritti e vincoli di maggior rilievo c’è il riconoscimento dei diritti fondamentali ed il principio di solidarietà (art. 2), completato e specificato da molti richiami della prima parte, dalla libertà personale dell’art. 13 (baluardo contro ogni repressione poliziesca) al diritto di espressione del pensiero dell’art. 21 (una delle tante antitesi rispetto al regime fascista del pensiero unico); l’uguaglianza formale dell’art. 3 (I comma, principio essenziale, se inteso come divieto di discriminazioni ed insieme alla tutela della dignità della persona) e quella sostanziale (al II comma che supera l’astratta uguaglianza dei soggetti di diritto per imporre alla repubblica il compito di realizzare il pieno sviluppo della persona mediante l’abbattimento degli ostacoli economici e sociali: una trasformazione sociale, se non una rivoluzione). Nei rapporti economici (Titolo III della I parte) si trovano poi precetti che disegnano da un lato il primato dei diritti sociali, una radicale innovazione delle costituzioni del XX secolo – il diritto alla salute, all’istruzione, il diritto ad un lavoro adeguatamente retribuito e alle prestazioni a sostegno del lavoratore inabile – non subordinati a vincoli economici e fonte anzi di indirizzo di politica economica (fino a stabilire un regime misto, di intervento in prima persona dello Stato nell’economia, non come mero regolatore), e limite e funzione delle libertà economiche (imprenditoriale, art. 41) e della proprietà (art. 42); dall’altro il ruolo dello stato di protagonista della vita economica nazionale: è titolare d’imprese e proprietà, le acquisisce nell’interesse generale (art. 43), e “riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende” (art. 46).
Un veloce sguardo alla II Parte ci mostra il disegno istituzionale incentrato sul primato del parlamento: la Carta è scritta da partigiani ed esuli, minoranze perseguitate che si fanno maggioranza costituente, da giuristi amanti delle libertà politiche e civili e anche perciò è attenta all’equilibrio fra i poteri, alla centralità del parlamento; e costruisce ad esempio l’originale figura di un presidente della repubblica che, pur privo di poteri interdittivi, ha strumenti di persuasione e poteri di nomina che gli consentono di esercitare il ruolo di garante della legalità costituzionale; ruolo che in modo più diretto, ma solo eventuale, se investita dagli altri organi, svolge la Corte costituzionale.
La Costituzione ha dovuto subito affrontare il dibattito sull’effettiva vigenza delle sue norme: prima negata dalla Cassazione, presto prevalse l’affermazione da parte della Corte costituzionale (con la prima sentenza del 1956; in dottrina V. Crisafulli) dell’immediata e indistinta cogenza sia delle norme “precettive”, sia delle norme “programmatiche” (da attuare con legislazione ordinaria) di ogni disposizione della Costituzione.
Ma la Carta è stata, sin dalla sua entrata in vigore, oggetto di contesa fra le forze politiche: l’unica stagione di attuazione deve purtroppo circoscriversi agli anni 1962-1978 durante i quali, compiendo una notevole stagione culturale e politica, si nazionalizza l’energia elettrica L. 1643/1962, si innova la disciplina dei licenziamenti Legge 604/1966, si introduce il divorzio L. 898/1970, si approva lo statuto dei lavoratori L. 300/1970, si regola il referendum abrogativo L. 352/1970, si approva l’ordinamento regionale L. 281/1970, si riconosce il diritto all’obiezione di coscienza L. 772/1972, si approva il nuovo diritto di famiglia L. 151/1975, si regola l’interruzione volontaria della gravidanza L. 194/1978, si istituisce il finanziamento pubblico dei partiti L. 195/1978, il trattamento delle malattie mentali L. 180/1978, il servizio sanitario nazionale L. 833/1978: questi sono alcuni dei momenti attuativi della costituzione, vere e proprie “riforme” del nostro ordinamento giuridico8, che talvolta rimossero disposizioni di matrice liberale o fascista nettamente in contrasto con la carta del 1948, ma più spesso introdussero diritti e tutele funzionali alla realizzazione dei principi di uguaglianza, solidarietà sociale, libertà.
Subito dopo la stagione delle riforme è iniziata una lunga fase di “congelamento”9cui sono seguiti tentativi di modifica formale di parti anche ampie della Costituzione, soprattutto della II parte. Peraltro si è arrivati solo alla approvazione parlamentare dei progetti del centrodestra nel 2005 (che avrebbe introdotto un radicale decentramento, di “devolution”, e un forte squilibrio dei poteri a favore dell’esecutivo) e del centrosinistra nel 2015 (che avrebbe concentrato il potere legislativo nella sola Camera dei deputati in dialogo stretto con il governo, riducendo il Senato a fioca voce delle autonomie locali); entrambi questi due tentativi di modifica sono stati bocciati, nel 2006 e nel 2016, dal referendum confermativo previsto dall’art. 138 Cost. dimostrando da un lato una inaspettata tenuta della Costituzione nel sentimento popolare, dall’altro una intima debolezza dei tentativi di modifica promossi da maggioranze governative che vogliono ridurre la matrice pluralista e parlamentarista della Costituzione.
La sfida dei prossimi anni, dopo un progressivo indebolimento delle istituzioni rappresentative a favore degli esecutivi ed un diffuso sacrificio dei diritti sociali per perseguire obiettivi di stabilità finanziaria e monetariaa, sembra che sarà l’impegno per l’attuazione della nostra costituzione nel nostro ordinamento e nella definizione del contenuto degli ordinamenti sovranazionali10.
1S. Romano, Rivoluzione e diritto, 1944, in Frammenti di un dizionario giuridico, 1947.
2C. L. Ragghianti, articolo sulla Libertà dell’estate 1944, periodico toscano del Partito d’Azione.
3Il
saggio tuttora più ampio e meditato sulla “scelta” ritengo sia Una
guerra civile – saggio storico sulla moralità nella resistenza di
Claudio Pavone, 1991.
4G. Filippetta, L’estate che imparammo a sparare, Storia partigiana della Costituzione, 2017.
5L’alto dibattito si può leggere negli Atti dell’Assemblea consultabili in rete su archivio.camera.it
6Vedi
il saggio di M. Fioravanti Il compromesso costituzionale, Il Ponte,
aprile 2009. Cfr. anche l’emblematico “rifiuto” del concetto di
compromesso di P. Togliatti, Discorsi alla costituente, 1973, pag. 9.
7L. Ferrajoli, La democrazia costituzionale, 2016.
8Vere
“riforme”, attuazione della costituzione, ancorate al concetto di
“riformismo” che indica un progresso nell’organizzazione economica e
sociale che interviene sul sistema capitalistico senza abbatterlo, come
invece farebbe la rivoluzione; saranno poi chiamate spesso riforme anche
le involuzioni neoliberiste che si produrranno non solo in Italia dagli
anni ’90 in poi, in specie privatizzazioni, deregolamentazioni,
rimozioni di diritti sociali faticosamente conquistati nei decenni
precedenti.
9Dopo
il “congelamento” del periodo 1948-1956, quando iniziò ad operare la
Corte costituzionale, si può dire tale anche il ventennio 1980-2001 in
cui si arrestò il processo riformatore e si avviarono, sulla spinta del
neoliberismo angloamericano, riforme reazionarie in molti campi.
10A. Algostino, Democrazia sociale e libero mercato: Costituzione italiana versus “costituzione europea”?, in Costituzionalismo.it, saggio n. 243, 2007.
__________________________________
Alla
vigilia del 75° anniversario della Liberazione di Firenze, la Sezione
ANPI di Impruneta ha raccolto le storie di coloro, antifascisti e
partigiani imprunetini, che negli anni della dittatura e della guerra
furono protagonisti. Il volume è il risultato di un’approfondita ricerca
condotta
principalmente all’interno dell’Archivio dell’Istituto Storico Toscano
della Resistenza e dell’Età Contemporanea – nell’Archivio del Comune e
nella sezione “Casellario Politico Centrale” dell’Archivio Centrale
dello Stato – che ha permesso di ricavare i nomi degli antifascisti
imprunetini che durante il Ventennio furono inseriti nella lista del
casellario, lo strumento per la schedatura di massa dell’allora governo
fascista e dei partigiani del territorio ai quali, alla fine della
guerra, fu ufficialmente riconosciuto il ruolo avuto nella lotta di
Liberazione.
Il
volume infatti, oltre a inquadrare Impruneta all’interno del contesto
storico e sociale del periodo di riferimento raccontando gli anni del
Ventennio, l’organizzarsi dell’attività antifascista e la Resistenza, si
arricchisce delle biografie dei cittadini che si opposero al fascismo e
alla dittatura e dei partigiani che combatterono la guerra di
Liberazione, raggiungendo, subito dopo l’8 settembre 1943, le prime
bande armate che si erano rifugiate nelle zone boscose e montuose del
preappennino e della Toscana centrale.
La
memoria e i ricordi della comunità hanno consentito la restituzione di
storie di vita e hanno dato la possibilità di omaggiare coloro che, a
rischio della propria vita, continuarono ad affermare le proprie idee
non abbracciando l’ideologia fascista, nonostante per anni avessero
subito, intimidazioni, arresti e vessazioni di ogni genere. Attraverso
queste biografie e le vicende dello specifico contesto locale, emergono
gli aspetti più drammatici del sistema repressivo del fascismo e del
regime che hanno riguardato la storia nazionale e anche i percorsi
personali di chi scelse di opporsi.
Questa
pubblicazione restituisce infine un pezzo di storia del territorio di
Impruneta negli anni della dittatura e della guerra fino ai mesi della
Liberazione contro il nazifascismo, un tassello quindi del più ampio
quadro complessivo della Resistenza fiorentina, fondamentale non solo per conoscere il nostro passato, ma anche per affrontare con maggiore consapevolezza il nostro presente.
Nessun commento:
Posta un commento