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sabato 25 aprile 2020

Pandemia e democrazia


Emergenza e diritti fondamentali: la tutela della salute, la libertà di circolazione, per qualcuno la libertà personale, la libertà d'impresa... Non me la sento di dare giudizi di difesa o di attacco dell'operato del governo. Annoto qualche articolo piuttosto autorevole e in relativa contrapposizione, quasi dialogo a distanza. E qualche mia considerazione, cercando di non eccedere perché mi vengono in mentecose ormai tardive, a due mesi dal primo decreto legge. Se volete una sintesi: il parlamento doveva essere e dovrà essere coinvolto maggiormente nella discussione e decisione, ma non trovo eversivi i provvedimenti adottati; il lockdown è una limitazione della libertà di circolazione giustificata, può essere giudicata eccessiva come estensione territoriale (zone poco infette o poco popolate avrebbero consentito regimi diversi), indiscriminata (attività produttive non rischiose potevano esser lasciate più libere), ma il compito di tutela della salute non va dimenticato, quando si invocano le libertà: il potere va limitato e controllato da giudici indipendenti e dal parlamento quale organo costituzionale centrale della democrazia rappresentativa, questo è il sale della democrazia costituzionale, ma lo stato ha anche il compito di difendere la nostra salute come diritto dell'individuo e interesse della collettività con strumenti previsti dalla stessa costituzione. Escluso lo stato di guerra previsto dall'art. 78, non possiamo che guardare ai poteri governativi di decretazione d'urgenza e all'ordinamento della Protezione civile del 2018 (cui fa appunto riferimento l'ordinanza governativa del 31.1.2020 che ha dichiarato lo stato d'emergenza su indicazione dell'Oms).

Comincio col dire che sono piuttosto infastidito dal riferimento che si trova in alcuni interventi di giuristi alla pretesa pochezza delle ragioni di sanità degli interventi limitativi assunti (bene o male) dal governo. La strage di vite e dignità che si è consumata nelle case di cura, negli ospedali e nelle famiglie in questi due mesi è tale che basterebbe da sola. Si aggiunga il rischio che un mero distanziamento sociale, praticabile in molti casi con incertezza e senza guide sperimentate, avrebbe provocato molte migliaia di vittime in più (oggi siamo a 25.000 morti, le alternative sono in vari studi, più o meno attendibili, ma l'ordine di grandezza è fra i 200 e gli 800 mila decessi).

Di Marco Bignami suggerisco l'articolo del 7 aprile (diciamo che è un po' assolutorio verso la linea adottata dalla maggioranza governativa, ma con considerazioni che vi consiglio di seguire):
http://www.questionegiustizia.it/articolo/chiacchiericcio-sulle-liberta-costituzionali-al-tempo-del-coronavirus_07-04-2020.phphttp://www.questionegiustizia.it/articolo/chiacchiericcio-sulle-liberta-costituzionali-al-tempo-del-coronavirus_07-04-2020.php

e pochi giorni dopo di M. Giuliana Civinini e G. Scarselli sempre su Questione Giustizia, probabilmente li avete letti, ma sono comunque qui:
http://www.questionegiustizia.it/articolo/emergenza-sanitaria-dubbi-di-costituzionalita-di-un-giudice-e-di-un-avvocato_14-04-2020.php
(qui Scarselli sul Tempo offre in sostanza una sintesi del suo intervento per chi non avesse voglia di leggere troppo: https://www.iltempo.it/home/2020/04/20/news/il-professor-scarselli-e-sicuro-la-liberta-personale-e-diritto-inalienabile-1317862/ )

e di G.L. Gatta un'analisi un po' più dettagliata e con riferimenti soprattutto al diritto anglosassone:
https://www.sistemapenale.it/it/articolo/diritti-fondamentali-coronavirus-necessaria-una-legge-sulla-quarantena-gian-luigi-gatta
Gatta è interessante soprattutto laddove loda la strada USA, in particolare la giustiziabilità del provvedimento che negli USA impone la quarantena, e si tratta pur sempre di provvedimenti generali, non personali, e i presupposti richiesti dalle poche decisioni in casi assimilabili degli anni passati sono la non discriminazione (razziale ad es.) e l'esistenza di un reale pericolo per la salute pubblica; qualificante che negli Usa queste limitazioni siano comunque trattate come detenzione. Bisogna considerare però che la giustiziabilità del caso singolo è negli Usa considerata un problema, anche se i ricorsi sono stati rari nei casi passati (Ebola 2014 ad es.). Il risultato pratico è che è diffusamente riconosciuto il potere dei governi statali e dell'unione di imporre blocchi nell'interesse generale e che i ricorsi sono pochi e su casi specifici.

Trovo che la distinzione di Bignami fra le garanzie dell'art. 13 e quelle dell'art. 16 cost. sia un passaggio importante per valutare il livello di allarme per l'attacco alle libertà. A conferma di ciò Scarselli e Civinini (e molti altri avvocati e giudici) insistono proprio su questo facendo rientrare il "divieto di uscire di casa" nell'art. 13 cost. Ma compiendo mi pare, per ansia di libertà, un salto logico: l'art. 13 è l'habeas corpus, lì c'è la tutela giurisdizionale perché si tratta di mettere in catene una persona, non di imporre un divieto sanzionato in caso di violazione, fra l'atro dal decreto legge del 25 marzo con sanzione amministrativa, mentre è penale la sanzione per chi è risultato positivo al virus e viola l'obbligo di restare isolato. Ma non è in galera né il soggetto in quarantena, né il positivo isolato, ma solo in condizioni di parziale o quasi totale restrizione della libertà di circolazione per motivi di tutela della salute della collettività, come recitano l'art. 16 e l'art. 32 cost. (ponendo il primo la ragione della limitazione, il secondo descrivendo il soggetto titolare del diritto (l'individuo) e dell'interesse (la collettività) alla salute.

L'allarme di Cassese, Scarselli, Gatta e tanti altri è sano e da tenere in considerazione sotto diversi profili, senz'altro sull'uso degli strumenti normativi (DL, e poco, e Dpcm, a profusione), ma non sotto altri profili che mi paiono da ridimensionare non tanto perché le limitazioni non siano importanti, ma perché nel bilanciamento fra i due diritti - quello alla salute di ciascuno e della collettività e quello alla libertà di circolazione di ciascuno - mi sembra che siano rispettati, doverosamente, i requisiti della proporzione e ragionevolezza tra il limite imposto e il bene protetto e quello della riserva di legge prevista dagli articoli 16 e 32 della costituzione. Quello che trovo da respingere è la valutazione - certo non solo da parte dei nominati - del pericolo per la salute come non idoneo a giustificare limitazioni così estese nel tempo, nell'importanza e nello spazio ad alcune libertà fondamentali: il lockdown ha evitato migliaia di morti e centinaia di migliaia (forse milioni) di contagi con una quantità di ricoveri in t.i. insostenibile. Le conseguenze saranno sicuramente fortissime poi sul piano economico, ma uno sguardo agli altri paesi e una valutazione della gravità della diffusione del contagio in Italia ci pone nella media, specie se si considera che la prospettiva di importanti riaperture, con le dovute cautele, porterà a rimettere in moto gran parte dell'industria e dei servizi.

Resta però un'interpretazione per lo meno disinvolta della riserva di legge (che comunque è relativa nell'art. 16 cost., non assoluta, e consente specificazioni con normativa secondaria): i decreti legge non mi sono parsi poco dettagliati, ma hanno preteso di delegare ai Dpcm estensione temporale e spaziale delle misure e purtroppo, a valle, sono intervenute anche delle interpretazioni inquietanti da parte degli agenti di polizia (non so quanto diffuse numericamente, ma che credo siano state più creative del solito per l'indeterminatezza di alcune limitazioni contenute nel Dpcm e per la differenziazione delle restrizioni nel tempo, con le modifiche frequenti, e nello spazio, con il protagonismo delle regioni e dei comuni).

Ricordiamo però che, per quanto sian criticabili i Dpcm e grave aver scavalcato il parlamento, quando sarebbe stato possibile avviare un confronto più approfondito in aula, i Dpcm sono pur sempre regolamenti giudicabili dal giudice amministrativo e disapplicabili dal giudice ordinario, quando da questi si vada rispettivamente per chiederne l'annullamento o la tutela di un diritto soggettivo che s'intenda compresso da quell'atto. E ancora: la corte costituzionale potrà giudicare, per scarso dettaglio o altro, la normativa primaria di riferimento. Queste possibilità non sono poi così irrilevanti, neanche se confrontate con la tutela che negli USA è data contro atti generali che limitino la libertà personale che nominavo sopra.

All'uso dei Dpcm avrei comunque preferito da un lato decreti legge più dettagliati nel disegnare le limitazioni alle libertà di circolazione e riunione e attività economiche e varie, dall'altro lato l'intervento ai sensi dell'art. 32 della legge di istituzione del SSN 833/1978  che dice essere di competenza dello Stato ogni intervento contro le epidemie e dà al Ministro della salute il potere di emettere ordinanze di carattere contingibile e urgente. O meglio ancora di decreti legge che garantissero il vaglio parlamentare sempre, ad ogni proroga ed estensione degli interventi, e non solo al primo - poi replicato - che assegna poteri allo stesso PdC per interventi non di dettaglio, ma essenziali: la concentrazione di poteri su Conte è stata eccessiva e ha snaturato il profilo dell'organo esecutivo ben oltre le modifiche che negli anni già avevano dato al presidente rispetto alla collegialità. Ovviamente i Dpcm sfuggono al controllo sia del presidente della repubblica, sia al vaglio del parlamento, ma sono pur sempre, dicevo, impugnabili davanti al Tar del Lazio e la Corte costituzionale può sindacare la legittimità della norma primaria di riferimento.

Per ora sembra contenuta la pretesa delle regioni di differenziare il regime delle riaperture, anche se sarebbero giustificati dalla diversità di diffusione del contagio. Limiti potrebbero comunque esser posti applicando semplicemente l'art. 120 cost. II comma (del resto spetta allo stato ai sensi dell'art. 117 lett. q la disciplina in materia di profilassi internazionale).

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