di Paolo Solimeno (da Hyperpolis.it)
La modifica costituzionale proposta ( http://www.camera.it/leg17/126?pdl=2613-D ) ha radicali difetti di legittimità e coerenza, propone un modello di democrazia lontano da quello prefigurato dal costituzionalismo democratico in cui sono iscritte le migliori democrazie occidentali, nate o perfezionatesi nel secondo dopoguerra. Insieme alla legge elettorale n. 52 del 2015, l'Italicum, trasformerebbe il sistema italiano in un premierato forte, senza garanzie, con una Camera succube del capo dell'esecutivo.
Lasciare che questo sistema entri in
vigore vuol dire consegnare l'Italia a due padroni: i poteri
economici e finanziari sovranazionali e il vincitore delle prossime
elezioni, chiunque egli sia.
In modo alquanto sintetico elenco i
motivi per cui ritengo dovrebbe esser respinto il ddl Boschi-Renzi
per rinviare ad un'eventuale, non urgente e non indispensabile
piccola correzione del sistema istituzionale l'intervento
migliorativo della Costituzione del 1947, evitando di stravolgerla
nel modo frettoloso e pericoloso che ci propongono gli abusivi
“costituenti” del 2016.
1. Legittimità di questo ddl
costituzionale. Anzitutto un intervento così corposo che
ridisegna quasi tutta la Seconda parte della Costituzione (eccettuato
solo il Titolo IV sulla magistratura) introduce di fatto una nuova
costituzione esercitando in modo abusivo un potere “costituente”
che “non è previsto dal nostro sistema costituzionale: il
potere costituente è un potere sovrano, che l’articolo 1
attribuisce al “popolo” e solo al popolo, sicché nessun potere
costituito può appropriarsene; il potere di revisione è invece un
potere costituito, il cui esercizio non può consistere nella
produzione di una nuova Costituzione, ma solo in singoli e specifici
emendamenti onde sia consentito ai cittadini, come ha più volte
stabilito la Corte Costituzionale, di esprimere consenso o dissenso,
nel referendum confermativo, alle singole, specifiche revisioni”
(Luigi Ferrajoli, articolo del 25.6.2016 su
http://www.libertaegiustizia.it/2016/06/25/un-monocameralismo-imperfetto-per-una-perfetta-autocrazia/
). Intaccare tale principio vuol dire anche, di conseguenza,
intaccare l'irreversibilità della scelta democratica in assoluto e
nella particolare veste data dai costituenti nel 1946-'47: un'assetto
istituzionale e dei diritti fondamentali nel quadro del
costituzionalismo democratico e con peculiari accenti egualitari e
pluralistici.
2. Legittimità del parlamento che
ha approvato il ddl costituzionale. Le elezioni del 2013 che
hanno formato il parlamento attualmente in carica hanno applicato,
per la terza volta la legge elettorale n. 270/2005, il c.d.
“Porcellum”, che è stata abrogata dalla sentenza della Corte
costituzionale n. 1/2014 nelle sue parti fondamentali, il premio di
maggioranza e le liste bloccate: in quella sentenza (si trova su
http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2014&numero=1#
) la consulta ha ritenuto che il premio, pur perseguendo un obiettivo
di “governabilità” legittimo, non potesse sacrificare in modo
così eccessivo la funzione primaria e costituzionalmente necessaria
della rappresentatività delle assemblee elettive. Tale netta e
inconfutabile sentenza è contrastata da alcuni critici non per la correttezza del
giudizio di merito, ma solo perché dubitano che un giudizio di costituzionalità su una legge elettorale possa
ancora ritenersi “giudizio incidentale”, che è il meccanismo
attraverso il quale si accede, dal giudice di merito, alla Corte (a
sostegno però della piena accessibilità si è espressa con argomenti solidi l'ordinanza di
rimessione della Corte di Cassazione del 17.5.2013). Si
aggiunga che i parlamentari eletti rappresentano gli elettori in modo
del tutto irrazionale, a causa del premio e delle liste bloccate, ma
per il principio di continuità delle istituzioni si è ritenuto che
effetto della sentenza che rimuoveva le basi di legittimità del
parlamento non potesse provocare lo scioglimento immediato dello
stesso e, addirittura, l'annullamento delle leggi da questo approvate
(effetti tutti che sarebbero ragionevole conseguenza
dell'annullamento parziale della legge elettorale, secondo il
principio di retroattività delle sentenze), ma questo non può
indurre a considerare il parlamento, all'opposto, pienamente
legittimo: la sentenza 1/2014 consente una proroga temporanea dei
poteri delle camere (ed infatti richiama la “prorogatio” di cui
all'art. 61 Cost.) fino a nuove elezioni con nuova legge
elettorale, o con quella risultante dall'abrogazione, poteri rivolti a
coprire le esigenze della “ordinaria amministrazione”, non certo
ad esercitare il potere di revisione costituzionale ex art. 138, o
addirittura il potere costituente (v. punto 1). Si consideri solo, in
concreto, che disattendendo questo limite si consente che una forza
parlamentare, non eletta per fare modifiche costituzionali e pari al
25% circa degli elettori, stravolga una Carta costituzionale
approvata dal voto favorevole pari all'88% dei votanti di un'Assemblea costituente eletta con
legge elettorale proporzionale e con lo specifico mandato di scrivere quella
Carta.
3. Le modifiche di composizione e
modalità di elezione del Senato. La modifica trasforma il Senato
in camera non più eletta dal popolo, ma dai consigli regionali; e
nella riduzione da 315 a 95 membri, di cui 21 sindaci e 74
consiglieri regionali, che una volta eletti senatori resteranno anche
nelle loro cariche originarie. Il nuovo senato non rappresenterà le
regioni, né il popolo né le istituzioni, per l'elezione indiretta di figure non qualificanti, per il ridotto
numero di senatori (ben 10 regioni avranno solo 1 consigliere
regionale senatore e 1 sindaco senatore), perché anche le
regioni più grandi (la Lombardia avrà 14 senatori) eleggeranno
senatori in base a spartizioni tra maggioranza e opposizione, o
opposizioni, che senza vincolo di mandato andranno a coalizzarsi in
senato su base partitica nazionale, non territoriale o istituzionale. Inoltre la riduzione
del numero dei senatori stravolge l'equilibrio del parlamento ogni volta
che sia chiamato a votare in seduta comune: si tratta
delle importantissime elezioni del Presidente della Repubblica (art.
83, 2° c.), della sua messa in stato d'accusa (art. 90), dell'elezione
di un terzo dei membri del Consiglio superiore della Magistratura
(art. 104).
4. La modifica dei poteri
dell'esecutivo. Nessun articolo del Titolo Terzo (Il Governo) è
toccato dal ddl del governo, così si difendono Renzi e Boschi, ma intanto questa intera modifica è di
iniziativa del Governo, quindi di parte, cosa invero anomala e
contraria alla centralità del parlamento come luogo di confronto
plurale dove sono rappresentate anche le forze non governative. Poi non si può non vedere che la Nuova costituzione darebbe al Governo dei poteri decisivi e potenzialmente
illimitati:
a) il ddl "a scadenza fissa",
ovvero il potere (art. 72, VI comma) di chiedere alla Camera dei
deputati di approvare entro 70 gg. un qualunque disegno di legge,
solo perché dal Governo stesso sia “indicato come essenziale per
l'attuazione del programma di governo”, una formula che non
consente sindacato sull'abuso del potere (da parte del Presidente
della Repubblica in sede di promulgazione, o della Corte cost. in
sede di giudizio incidentale successivo), visto che l'indicazione è
una mera potestà, salvo limitazioni da parte dei regolamenti
parlamentari, e che potenzialmente potrebbe occupare buona parte del
calendario della Camera senza consentire discussioni vere (si pensi
ad es. ai 70 gg. occupati da manovre di maggioranza che bloccano il
ddl in commissione) e col potere di ricatto derivante dal rapporto di
fiducia, aggravato dal meccanismo della legge elettorale attualmente
in vigore (l'Italicum); inoltre non il "programma di governo"
non ha dignità costituzionale, ma di mera prassi, quindi non può
considerarsi un parametro vincolante. Il richiamo all'istituto analogo previsto dalla costituzione francese non tiene conto del contesto costituzionale diverso e dei tanti limiti lì previsti per l'esercizio di questo potere (cfr. R. Tarchi, Osservatorio sulle fonti, 2/2014).
b) il potere di esercitare la
“clausola di salvaguardia” (art. 117, IV c.), chiamando allo
stato anche alcune delle poche competenze esclusive rimaste alle
Regioni con il nuovo Titolo V per la tutela dell'interesse nazionale,
sempre con il vincolo di controllo della maggioranza governativa e
col potere di scavalcare eventuale voto contrario del Senato,
limitandosi a votare con una facilmente raggiungibile maggioranza
assoluta (art. 70, IV c.);
c) la nuova struttura istituzionale
(Camera centrale nel procedimento legislativo, voto di fiducia dato
solo alla Camera, predominanza numerica di questa sul Senato più che
triplicata rispetto all'attuale rapporto, ecc.) è proposta senza che
si introduca alcun vincolo alla futura legge elettorale, ad esempio
con una più vincolante definizione del diritto di voto libero e
uguale (art. 48) che imponesse l'introduzione di leggi elettorali
capaci di garantire una sufficiente razionalità e rappresentatività
della Camera, invece saremo nuovamente dipendenti dall'eventuale
(art. 73, II c.) e probabilmente tardivo giudizio della Corte
costituzionale;
d) non si introduce alcun
rafforzamento delle istituzioni di garanzia (anzi, PdR, CSM e Corte
Costituzionale sono indeboliti e resi a portata della maggioranza
governativa). L'interpretazione della nuova Carta che tenga conto
della attuale legge elettorale è la più preoccupante: con la
maggioranza vinta, probabilmente al ballottaggio, si avrebbe il
controllo del procedimento legislativo alla Camera, si potrebbe
ottenere la messa in stato d'accusa del PdR (art. 90) con il voto di
soli 25 senatori, oltre ai 340 della maggioranza alla Camera (ma anche una maggioranza più debole, comunque "governativa", turberà l'indipendenza del PdR):
praticamente il Governo può ricattare il Presidente della Repubblica
e inibire l'esercizio di ogni suo potere di garanzia e ostacolo agli
abusi dell'esecutivo (a partire dal rifiuto della promulgazione di
leggi palesemente incostituzionali, o di sciogliere la Camera);
e) non si introduce alcuna concreta
disciplina di poteri delle minoranze e delle opposizioni: è nominato
lo “statuto delle opposizioni” (art. 64, II c.), ma la sua
disciplina è rinviata ai regolamenti delle Camere, eppure ci sono
esempi e letteratura da cui attingere per mettere in costituzione
delle regole minime che garantiscano le minoranze (si veda il saggio
di Antonuzzo su
http://www.amministrazioneincammino.luiss.it/app/uploads/2016/06/Antonuzzo.pdf
); si modificano gli istituti referendari, ma il referendum
abrogativo beneficerebbe di una saggia riduzione del quorum (art. 75,
IV c.) solo se si raccoglieranno ben 800.000 firme; l'iniziativa di
legge popolare dovrà raccogliere il triplo delle firme di oggi
(150.000 invece di 50.000) avendo solo la garanzia di venir discussa
e votata nei tempi che stabiliranno i regolamenti parlamentari (art.
71, III c.); altra norma “bandiera” (art. 71, IV c.) introduce il
referendum propositivo e d'indirizzo che dovrà essere attuato da
altra legge costituzionale e, dopo di questa, da legge di attuazione:
nulla, quindi, per anni.
5. La modifica della forma di
governo. Questo effetto si ha con una legge elettorale che, come
l'Italicum già in vigore da luglio 2016, introduca un meccanismo che
sfrutti gli spazi lasciati pericolosamente liberi dalla nuova
costituzione e consenta ad una legge maggioritaria di trasformare una
democrazia parlamentare in un premierato forte: premierato
grazie ad una legge premiale che - qualunque sia il risultato delle
votazioni - pretende di creare una maggioranza nell'assemblea
elettiva, come ammette da tempo il suo ispiratore, Roberto D'Alimonte; e contemporaneamente determina l'elezione del presidente
del consiglio attraverso una “indicazione” del capo della lista
che risulti vittoriosa (al primo turno o al ballottaggio); e sarebbe
un premierato forte perché mancherebbero i contrappesi (sia
nuovi poteri di interdizione o codecisione di altri organi, ma
sarebbero anzi indebolite le istituzioni di garanzia per lo
squilibrio di numeri nelle cruciali votazioni di cui agli artt. 83,
elezione PdR, 90, messa in stato d'accusa del PdR, 104, elezione di
un terzo del CSM), e ci sarebbero anzi i rafforzamenti
dell'esecutivo di cui si è detto al punto 4. Appare poi
intollerabile che una radicale modifica della forma di governo e una
così grave concentrazione di poteri sia fatta in modo surrettizio,
senza discuterlo apertamente e smentendo l'intima connessione con la
legge elettorale. Solo una legge elettorale rigidamente proporzionale
per la Camera eviterebbe l'attacco al principio di equilibrio e
separazione dei poteri, anche se lascerebbe in vita le numerose
incongruenze e pericoli.
6. La modifica del bicameralismo.
La differenziazione delle funzioni delle due camere non può esser
detta urgente o indispensabile: nell'ultima legislatura ben 202 delle
252 leggi approvate è passata con una sola lettura in ciascuna
camera, senza alcun rinvio per modifiche alla prima camera; altre 43
leggi sono passate con un solo rinvio, quindi tre passaggi (http://blog.openpolis.it/2016/10/19/referendum-leggi-veloci-leggi-lente/10661). Niente di
patologico, nessuna urgenza nella modifica giustifica il modo
illegittimo e il contenuto inefficace e confuso con cui viene
proposta. Quanto poi alla fiducia al Governo dalla sola Camera dei
deputati: la modifica potrebbe, in sé, esser considerata razionale e
benvenuta, ma non si può motivarla sulla instabilità perché i
tanti governi che si sono succeduti in 69 anni di repubblica con il
bicameralismo perfetto, solo due sono caduti per il diniego della
fiducia in parlamento (i due governi Prodi) e tutti gli altri sono
cambiati anzitutto per pretese delle correnti interne della DC, in
una anche eccessiva stabilità e continuità. Una modifica semplice
al meccanismo della fiducia, l'introduzione della sfiducia
costruttiva, avrebbe dato ben più stabilità al sistema. Infiine: la trasformazione del Senato nelle sue funzioni non impone certo che non sia elettivo.
7. La modifica del Titolo V: un
forte accentramento. L'intervento sul Titolo V è un forte
revirement accentratore rispetto al principio tendenzialmente
federalista introdotto nel 2001 tanto da consegnarci uno stato
centralista, più di quello della originale versione del titolo del
1947. Le competenze esclusive statali del nuovo art. 117, II c., si
moltiplicano (da 31 a 48), sono introdotte materie esclusive
regionali, ma con riserve parziali allo stato che è chiamato a
disciplinare parte delle materie, la regione dovrebbe completare,
riproponendo così in sostanza la “competenza concorrente” che il
legislatore si vanta di aver abolito: tutt'altro, si introducono
concetti nuovi e non ancora vagliati in cui lo stato si contende le
materie con le regioni, dettando ora le “norme generali e comuni”,
ora le “disposizioni di principio”, ora imponendo interessi
nazionali o sovranazionali su quelli regionali, ora semplicemente
dettando una parte della disciplina (cfr. U. De Siervo, “I più chediscutibili contenuti del progettato art. 117 della costituzione”,su osservatoriosullefonti.it, 1/2016). In più, come detto sopra
(punto 4, b), il Governo può esercitare con iniziativa legislativa
una supremazia e chiamare a sé materie pur di esclusiva competenza
regionale. La modifica non ha voluto toccare statuti e competenze
delle cinque regioni a statuto speciale per il veto posto dai
parlamentari rappresentanti di quei territori, consegnandoci così un
sistema che costa miliardi ed una disparità ora intollerabile
rispetto alle spogliate regioni ordinarie: gli statuti speciali
potranno esser modificati solo con “intesa” dei loro consigli,
mentre oggi basta che siano “sentiti”; tutto il capo IV del ddl
non si applica, mentre si applica il potere di espandere
ulteriormente le loro competenze.
L’incoerenza del ddl costituzionale si somma così al suo chiaro intento di riduzione delle garanzie e dell’equilibrio delle funzioni e di separazione dei poteri, di esaltazione dell’esecutivo senza i lacci delle garanzie e del pluralismo, dei limiti al potere, chiunque lo detenga. La “Nuova Costituzione Renziana” si qualifica come il più determinato e sgangherato attacco al costituzionalismo democratico, intento reazionario un po’ guascone e un po’ golpista che dobbiamo respingere senza tentennamenti.
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