E forse questa è la notizia del secolo, per me.
Dopo aver trovato i
virus e il dna, dopo aver convalidato i processi evolutivi delle specie e
visto come funziona il cervello, arriva la visualizzazione di un
neurone che è in contatto con ogni zona della massa cerebrale che,
pertanto, può dirsi finalmente pensata.
Le continue delusioni o
consolazioni che, segretamente, in uno stllicidio che sembrava infinito,
abbiamo provato ogni volta che la ricerca dava un luogo e una formula
chimica per ogni dettaglio della nostra indole e dei nostri sensi, delle
nostre capacità percettive e mnemoniche, sono ora seguite da un
traguardo, forse anch'esso provvisorio, ma dal sapore della sentenza
definitiva su cosa sappiamo di noi.
Esagero, ridicolmente, ma azzardo a
dire che, essendo persuasi di come ormai sia dimostrato che l'individuo è
dato dalla somma dei suoi organi coordinati e delle sue capacità
cognitive e che queste, compresa la memoria, hanno una sede e degli
strumenti e modi d'azione fisicamente rilevabili, sapere che una cellula
filamentosa metta in connessione tutto ciò riesce a dare al concetto
presuntuoso di coscienza, per altri di anima, o di individualità,
un'aura di plausibilità e di dignità che prima non potevamo vantare.
Gli
ignobili o sublimi pensieri che mi rappresentano non sono forse la mera
somma di una miriade di molecole e cellule, ma hanno un senso, una
capacità di sintesi e, quindi, di autorappresentazione che non è solo
illusoria. Certo, se si tratta di un super neurone, sempre una cellula
sarà, quindi non sarà sede di alcunché, non sarà il borsello del
ragioniere, lo zaino dell'alpinista, ma solo il filo che ci consente di
essere e saperlo ed essere individui finché quel filo è teso.
Soprattutto, ammettiamo che questa mirabolante cellula è stata trovata
nel topo, non è certo esclusiva dell'homo sapiens, ma date uno
smartphone al topo: non ne farà granché.
Si getta una luce nuova sul
rapporto fra res cogitans e res extensa. Insomma, direi, una scoperta
che, come mille altre, ci svela, ma finalmente senza toglierci la nostra
umanità.
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giovedì 2 marzo 2017
venerdì 10 febbraio 2017
Le motivazioni della sentenza sull’Italicum: un primo commento
Le motivazioni della censura dell'Italicum: il sistema
parlamentare richiede una piena rappresentatività delle Camere. La Corte
ha cancellato vizi che erano anche del Porcellum, il legislatore faccia
il resto.
di Paolo Solimeno, 10 febbraio 2017
http://www.hyperpolis.it/online/le-motivazioni-della-sentenza-sullitalicum-un-primo-commento/
La sentenza n. 35 del 2017, resa nel procedimento discusso all'udienza del 24 gennaio e depositata il 9 febbraio 2017, contiene una approfondita analisi dei motivi di costituzionalità portati alla sua attenzione dalle ordinanze di rimessione di vari tribunali d'Italia (Torino, Messina, Genova, Perugia, Trieste), tutti raggiunti da ricorsi, solitamente ex art. 702 bis c.p.c., di cittadini assistiti dal gruppo di "Avvocati Antitalicum" coordinati dall'avv. Felice Carlo Besostri.
La sentenza, lunga un centinaio di pagine, apre con il rigetto dell'eccezione dell'Avvocatura dello stato di inammissibilità delle questioni di legittimità sulla base del ragionamento già svolto dalla sentenza 1/2014: le eccezioni sono ammissibili qualora, come nel caso di specie, siano a) sufficientemente motivate, b) vi sia una effettiva incidentalità del giudizio di merito e di quello di costituzionalità che debbono avere oggetto diverso: la pienezza del diritto di voto il primo, la legge elettorale sospettata di incostituzionalità il secondo (si ribadisce che l'accesso al vaglio di costituzionalità non può essere diretto, ma solo incidentale, come parentesi di un effettivo giudizio di merito), c) che il diritto azionato abbia rilievo costituzionale, d) tenuto conto dell'esigenza di consentire che le leggi elettorali non siano sottratte al vaglio di costituzionalità, dato che determinano la composizione di organi costituzionali essenziali per l'ordinamento democratico-rappresentativo.
Sempre quanto all'ammissibilità delle questioni la Corte si sofferma sul fatto che la legge elettorale 52/2015 aveva un'efficacia differita, ma non incerta, e che l'ammissibilità di un giudizio di accertamento di un diritto non dipende necessariamente dall'avvenuta lesione dello stesso, ma può derivare anche dal pericolo di una sua futura lesione. Queste prime statuizioni rafforzano e consolidano la giurisprudenza inaugurata dalla sentenza 1/2014 della stessa Corte costituzionale, dalla ordinanza 17.5.2013 della Cassazione e soprattutto dalla sentenza della Cassazione 8878 del 16 aprile 2014, emanata dopo C. Cost. 1/2014, che afferma la sussistenza del nesso di pregiudizialità delle questioni di costituzionalità e perciò la prospettata separazione e distinzione delle domande processuali proposte dal giudice a quo e in Corte costituzionale.
Invece è ritenuta inammissibile la questione riguardante la violazione del procedimento di approvazione della legge elettorale, art. 72 Cost., attraverso anche la compressione dei tempi di discussione e votazione e l'apposizione della fiducia: la Corte non entra nel merito, si limita a rilevare che le ordinanze dei giudici di merito non comprendono questa eccezione e non si può chiedere che la Corte sollevi dinanzi a sé la questione perchè questo aggirerebbe il limite detto e perché le questioni sono già state ritenute manifestamente infondate dai giudici a quo. Sul punto si possono nutrire dei dubbi, non solo per la ragione strumentale che una dichiarazione di violazione del procedimento di deliberazione "ordinario" previsto dalla costituzione avrebbe portato alla caducazione dell'intera legge elettorale, ma perché l'oggetto della legge richiede un particolare rigore sul rispetto delle modalità di discussione e approvazione in parlamento e gli ostacoli formali addotti dalla Corte paiono non esser sufficienti ad impedire il vaglio di legittimità.
Veniamo al premio di maggioranza: per quello previsto dalla legge in esame al primo turno la Corte ritiene che, riconosciuta al legislatore "un'ampia discrezionalità nella scelta del sistema elettorale che ritenga più idoneo in relazione al contesto storico-politico in cui tale sistema è destinato ad operare", resta un giudizio di razionalità alla Corte che nel caso assolve la legge. La sentenza richiama infatti i precedenti in materia che hanno richiesto una soglia di accesso al premio di maggioranza che incida sull'attribuzione dei seggi (sent. 1/2014, 13/2012, 15 e 16/2008) e questa soglia prevista dalla legge 52/2015 è ritenuta ora adeguata a contemperare gli obiettivi di rappresentatività del parlamento e di stabilità del governo.
Invece è ritenuta fondata l'eccezione di costituzionalità del premio al ballottaggio: infatti il secondo turno assegna comunque il premio alla lista delle due che siano arrivate prime per numero di voti validi al primo turno, solo perché abbiano superato lo sbarramento del 3%. Il premio sarà ottenuto solo sul presupposto di ottenere al secondo turno un voto più della lista concorrente, senza alcun riferimento alla porzione di aventi diritto al voto che abbia partecipato al secondo turno, porzione che si può prevedere che possa essere anche molto ridotta "come prevedibile conseguenza della radicale riduzione dell'offerta elettorale" (così argomentavano i giudici rimettenti per questo punto, i Tribunali di Torino, Perugia, Trieste e Genova); inoltre non sono consentiti apparentamenti o collegamenti tra liste. La Corte ritiene che le indicazioni della sentenza 1/2014 siano state recepite dal legislatore del 2015 nel disegnare il primo turno di votazioni, ma il secondo è disegnato in modo illegittimo, eccessivamente distorsivo della volontà degli elettori. Infatti è costruito come "prosecuzione del primo turno" - e non come nuova votazione - utile solo a individuare il vincitore del premio ed a cui non partecipano altro che le prime due liste, le altre restando confinate (anche per il divieto di apparentamenti) come peso in seggi al risultato percentuale del I turno. Il premio così configurato è necessariamente un premio di maggioranza, non un premio di governabilità e pertanto deve esserne valutato il rispetto della "esigenza costituzionale di non comprimere eccessivamente il carattere rappresentativo dell'assemblea elettiva e l'eguaglianza del voto", esigenza che, dice la sentenza n. 35, non è rispettata dal sistema di assegnazione del premio al ballottaggio perché una lista "può accedere al turno di ballottaggio anche avendo conseguito, al primo turno, un consenso esiguo, e ciononostante ottenere il premio, vedendo più che raddoppiati i seggi che avrebbe conseguito sulla base dei voti ottenuti al primo turno. Le disposizioni censurate riproducono così, seppure al turno di ballottaggio, un effetto distorsivo analogo a quello che questa Corte aveva individuato, nella sentenza n. 1 del 2014, in relazione alla legislazione elettorale previgente".
Ed ecco il passo essenziale, sul punto, della sentenza n. 35 del 2017 che si allinea pienamente, ripetendone i principi cardine (il confronto tra interesse legittimo alla governabilità e principio costituzionale di rappresentatività delle istituzioni e uguaglianza del voto): "Se è vero che, nella legge n. 52 del 2015, il turno di ballottaggio fra le liste più votate ha il compito di supplire al mancato raggiungimento, al primo turno, della soglia minima per il conseguimento del premio, al fine di indicare quale sia la parte politica destinata a sostenere, in prevalenza, il governo del Paese, tale obbiettivo non può giustificare uno sproporzionato sacrificio dei principi costituzionali di rappresentatività e di uguaglianza del voto, trasformando artificialmente una lista che vanta un consenso limitato, ed in ipotesi anche esiguo, in maggioranza assoluta". L'avverbio artificialmente è usato non a caso e più avanti la sentenza chiarisce che l'individuazione di una maggioranza è creata da un meccanismo, non da una scelta: "È vero che, all’esito del ballottaggio, il premio non è determinato artificialmente, conseguendo pur sempre ad un voto degli elettori, ma se il primo turno dimostra che nessuna lista, da sola, è in grado di conquistare il premio di maggioranza, soltanto le stringenti condizioni di accesso al turno di ballottaggio conducono, attraverso una radicale riduzione dell’offerta politica, alla sicura attribuzione di tale premio".
Giova sottolineare, per evitare letture distorsive della sentenza, come la "divaricazione" censurata dalla sentenza in questo passo non sia tra le maggioranze che potrebbero generarsi nelle due camere, ma tra la composizione di una delle due assemblee (la legge in esame vale solo per la Camera) e la volontà dei cittadini: "Le disposizioni censurate producono una sproporzionata divaricazione tra la composizione di una delle due assemblee che compongono la rappresentanza politica nazionale, centro del sistema di democrazia rappresentativa e della forma di governo parlamentare prefigurati dalla Costituzione, da un lato, e la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto, «che costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare secondo l’art. 1 della Costituzione» (sentenza n. 1 del 2014), dall’altro".
La questione delle maggioranze omogenee è ripresa con un inciso a fine sentenza, laddove rigetta l'argomento della incostituzionalità della diversità dei sistemi elettorali previsti per le due camere, dopo la vittoria (ovviamente le ordinanze si riferivano ad una mera ipotesi, prima della vittoria del no al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016). L'argomento è respinto sostanzialmente per difetto di motivazione delle ordinanze di rimessione, ovvero per insufficiente indicazione dei motivi per cui si ritiene che la normativa violerebbe le singole disposizioni costituzionali invocate (artt. 1, 3, 48, 49, 51, 56); e mancato riferimento proprio "delle due disposizioni costituzionali che dovrebbero necessariamente venire in considerazione (cioè gli artt. 94, primo comma, e 70 Cost.) laddove si intenda sostenere che due leggi elettorali «diverse» compromettano, sia il funzionamento della forma di governo parlamentare delineata dalla Costituzione repubblicana, nella quale il Governo deve avere la fiducia delle due Camere, sia l’esercizio della funzione legislativa, attribuita collettivamente a tali due Camere". E qui la Consulta sembra cogliere nel segno. Ma si deve rilevare che è una soluzione di rigetto formalistica che, proprio perché è seguita da una dichiarata preoccupazione proprio per il rischio di produzione di maggioranze non omogenee nei due rami del parlamento, risulta insoddisfacente: la Corte arriva a dire che la Costituzione "esige che, al fine di non compromettere il corretto funzionamento della forma di governo parlamentare, i sistemi adottati, pur se differenti, non devono ostacolare, all'esito delle elezioni, la formazione di maggioranze parlamentari omogenee". Quindi non si può dire che la Consulta si preoccupi di "armonizzare" il sistema, perché altrimenti avrebbe utilizzato o il motivo di censura che riguarda il mancato rispetto del procedimento parlamentare ordinario (art. 72 Cost.) oppure questo motivo di censura dei meccanismi diversi delle due leggi risultanti in vigore per cancellare interamente, o almeno in parti ben più essenziali (il premio al primo turno, anche) la legge per la Camera, consegnando agli elettori due meccanismi omogenei. Invece si limita a tutelare altri pur ragguardevoli principi quali la pienezza del diritto di voto e la rappresentatività del ramo del parlamento sulla cui legge è chiamata ad esprimersi.
Detto ciò, bisogna anche ammettere che la Corte si premura di censurare non il turno di ballottaggio tra liste in sé, ma la specifica disciplina che ne ha dato la L. 52/2017 quale ballottaggio in collegio unico nazionale con voto di lista, estraneo ad ogni esperienza straniera (quali i collegi uninominali), ammettendo che "non potrebbe essere questa Corte a modificare, tramite interventi manipolativi o additivi, le concrete modalità attraverso le quali il premio viene assegnato all’esito del ballottaggio, inserendo alcuni, o tutti, i correttivi la cui assenza i giudici rimettenti lamentano. Ciò spetta all’ampia discrezionalità del legislatore (ad esempio, in relazione alla scelta se attribuire il premio ad una singola lista oppure ad una coalizione tra liste: sentenza n. 15 del 2008), al quale il giudice costituzionale, nel rigoroso rispetto dei propri limiti d’intervento, non può sostituirsi.
Inoltre, alcuni di questi interventi (che, in astratto considerati, potrebbero rendere il turno di ballottaggio compatibile con i tratti qualificanti dell’organo rappresentativo nazionale) non sarebbero comunque nella disponibilità di questa Corte, a causa della difficoltà tecnica di restituire, all’esito dello scrutinio di legittimità costituzionale, una disciplina elettorale immediatamente applicabile, "complessivamente idonea a garantire l’immediato rinnovo dell’organo costituzionale elettivo (da ultimo, sentenza n. 1 del 2014)". Ma tale giudizio negativo del meccanismo non travolge nemmeno la legge per le elezioni dei comuni con più di 15.000 abitanti, soprattutto perché lì è prevista l'elezione diretta del sindaco (e non un sistema "parlamentare", quindi) e la coerenza del sistema è assicurata.
Il meccanismo dell'Italicum, quindi, è inadeguato allo scopo: è "finalizzato a completare la composizione dell'assemblea rappresentativa" che per il resto è (salvo le distorsioni conseguenti all'assegnazione del premio) composta sulla base del risultato proporzionale nazionale. In un sistema parlamentare la legge elettorale per ciascuna delle due camere, se con funzioni analoghe, legislative e di sostegno della maggioranza governativa, non può che "assicurare il valore costituzionale della rappresentatività", mentre la disciplina censurata "trasforma e in radice la logica e lo scopo della competizione elettorale" ed appare (la conclusione è solo suggerita dalla Corte, ma gli elementi sono posti lì e valutati senz'altro con questo obiettivo) come un meccanismo pensato per eleggere una carica monocratica applicato innaturalmente e irrazionalmente per determinare la composizione di una assemblea elettiva.
Pertanto la sentenza ha ritenuto di dover dichiarare l'illegittimità delle disposizioni, della legge 52 del 2015, che avevano introdotto il secondo turno di votazione; la normativa di risulta "è idonea a garantire il rinnovo, in ogni momento, dell'organo costituzionale elettivo", con l'effetto che in caso di mancato raggiungimento, da parte di alcuna lista, della soglia del 40%, si procederà al riparto interamente proporzionale dei seggi alla Camera (art. 83, I comma, n. 4) tra le liste che avranno superato lo sbarramento del 3% (art. 83, I comma, n. 3).
Una serie di profili di dubbia costituzionalità esaminata dalla sentenza 35 attiene alle modalità di scelta del candidato: già la sentenza 1/2014 si era occupata di liste bloccate ed aveva censurato la previsione di liste bloccate per l'attribuzione dell'interezza dei seggi della legge 270/2005, salvando esplicitamente previsioni diverse quali le liste bloccate per solo una parte dei seggi e le liste bloccate in un circoscrizione territorialmente molto contenuta, tanto da consentire la conoscibiltà dei canditati. Il sistema di scelta è giudicato sostanzialmente migliorato dalla nuova legge per la Camera, 52/2015, in quanto a fronte dell'intera lista lunga bloccata ci propone liste brevi in quanto riferite a 100 collegi piccoli, solo il capolista è bloccato e l'elettore può esprimere due preferenze tra i non capilista. La sentenza supera anche la censura riferita al fatto che solo la lista che si aggiudica il premio sceglie, tra i 340 seggi assegnatigli, solo 100 seggi col meccanismo dei capilista bloccati e 240 con quello delle preferenze, mentre le liste di minoranza satureranno la scelta dei seggi con i propri capilista, risultando probabilmente almeno tre le liste assegnatarie dei rimanenti 278 seggi: ritiene in breve, la Corte, che i capilista sono scelti dai partiti e la qualità della partecipazione in questi e della rappresentatività delle loro scelte di candidatura non può ricadere sul legislatore; svolge inoltre, la Corte, un'altra considerazione che andrebbe verificata più meditatamente: ritiene che l'effetto negativo paventato dall'ordinanza di rimessione si produrrebbe solo se i risultati delle minoranze fossero omogenei su tutto il territorio nazionale, mentre un partito più forte in alcuni colleghi otterrebbe ben più del solo capolista, aprendo quindi, anche una lista che a livello nazionale resti di minoranza, a candidati scelti con le preferenze; ma tale conclusione sembra contrastare con il meccanismo di riparto proporzionale su collegio unico nazionale della legge 52/2015 che, pur contenendo i detti collegi territorialmente circoscritti, non consente una ripartizione territoriale.
Comunque l'ampia pervasività della scelta dei candidati col meccanismo dei capilista bloccati è promossa dalla Corte con argomenti ipotetici e deboli, sorprende invece il rigore con cui è accolto, come noto, il meccanismo di rinuncia del candidato eletto in più collegi plurinominali. La Corte accoglie la lamentela dei giudici a quo (volendo proprio declinare, a quibus) secondo cui "l’opzione arbitraria affida irragionevolmente alla decisione del capolista il destino del voto di preferenza espresso dall’elettore nel collegio prescelto, determinando una distorsione del suo esito in uscita, in violazione non solo del principio dell’uguaglianza ma anche della personalità del voto, tutelati dagli artt. 3 e 48, secondo comma, Cost."; e ipotizza poi vari criteri sostitutivi dell'arbitrarietà della scelta. I limiti del giudizio di costituzionalità, che non può essere creativo o additivo, hanno prodotto il noto esito dell'introduzione, al posto dell'arbitrio del capolista, del criterio dell'estrazione a sorte per individuare il seggio in cui il canditato plurivincitore debba risultare eletto (a sacrificio dunque del più votato in preferenze di quel collegio): l'esito è indotto dal fatto che l'ablazione della prima parte dell'art. 85 del DPR 361/1957 lascia in vigore la parte che prevedeva già il criterio residuale dell'estrazione a sorte, qualora il capolista non avesse esercitato la facoltà di scelta. Ovviamente la Corte invita il legislatore a sostituire la normativa di risulta con una disposizione che introduca un criterio maggiormente rispettoso della volontà degli elettori.
La sentenza n. 35/2017 ci lascia quindi un sistema potenzialmente maggioritario alla Camera, come si percepiva già il 25 gennaio all'esito dell'udienza pubblica, in cui l'attribuzione dei seggi è determinata in proporzione al voto ottenuto dalle singole liste, salva la remota ipotesi che una di esse (o due, per puro esercizio astratto) ottenga almeno il 40% dei voti (nel qual caso scatterebbe il premio di maggioranza).
Se si condivide l'utilità di una almeno parziale armonizzazione con il sistema in vigore al Senato, non si può negare che tutti i principi e i precedenti invocati nelle sentenze n. 1/2014 e 35/2017 spingano verso l'abrogazione del premio di maggioranza alla Camera, per avvicinarsi al sistema del Senato, il c.d. Consultellum: un proporzionale con sbarramenti.
Certo, la Consulta non chiede un sistema proporzionale puro, si sofferma anche troppo, nelle sentenze citate, a suggerire alternative ai meccanismi estremi introdotti dalle leggi volute da Berlusconi nel 2005 e da Renzi nel 2015. Ma tra le possibili "correzioni" del sistema proporzionale al fine di evitare eccessiva frammentazione e di facilitare la formazione di maggioranze e il premio ispirato da Roberto D'Alimonte che crea, a tutti i costi, una maggioranza governativa c'è un abisso.
Qualunque direzione venga presa dal legislatore, sarà viziata politicamente dall'esser adottata da un parlamento determinato da una legge dichiarata incostituzionale e le cui distorsioni in termini di seggi rispetto ai voti ottenuti sono macroscopiche e continuano a generare interventi nel nostro ordinamento giuridico che a fatica, e non da oggi, trovano sostegno nel principio di continuità delle istituzioni affermato in chiusura dalla Corte nel gennaio 2014.
di Paolo Solimeno, 10 febbraio 2017
http://www.hyperpolis.it/online/le-motivazioni-della-sentenza-sullitalicum-un-primo-commento/
La sentenza n. 35 del 2017, resa nel procedimento discusso all'udienza del 24 gennaio e depositata il 9 febbraio 2017, contiene una approfondita analisi dei motivi di costituzionalità portati alla sua attenzione dalle ordinanze di rimessione di vari tribunali d'Italia (Torino, Messina, Genova, Perugia, Trieste), tutti raggiunti da ricorsi, solitamente ex art. 702 bis c.p.c., di cittadini assistiti dal gruppo di "Avvocati Antitalicum" coordinati dall'avv. Felice Carlo Besostri.
La sentenza, lunga un centinaio di pagine, apre con il rigetto dell'eccezione dell'Avvocatura dello stato di inammissibilità delle questioni di legittimità sulla base del ragionamento già svolto dalla sentenza 1/2014: le eccezioni sono ammissibili qualora, come nel caso di specie, siano a) sufficientemente motivate, b) vi sia una effettiva incidentalità del giudizio di merito e di quello di costituzionalità che debbono avere oggetto diverso: la pienezza del diritto di voto il primo, la legge elettorale sospettata di incostituzionalità il secondo (si ribadisce che l'accesso al vaglio di costituzionalità non può essere diretto, ma solo incidentale, come parentesi di un effettivo giudizio di merito), c) che il diritto azionato abbia rilievo costituzionale, d) tenuto conto dell'esigenza di consentire che le leggi elettorali non siano sottratte al vaglio di costituzionalità, dato che determinano la composizione di organi costituzionali essenziali per l'ordinamento democratico-rappresentativo.
Sempre quanto all'ammissibilità delle questioni la Corte si sofferma sul fatto che la legge elettorale 52/2015 aveva un'efficacia differita, ma non incerta, e che l'ammissibilità di un giudizio di accertamento di un diritto non dipende necessariamente dall'avvenuta lesione dello stesso, ma può derivare anche dal pericolo di una sua futura lesione. Queste prime statuizioni rafforzano e consolidano la giurisprudenza inaugurata dalla sentenza 1/2014 della stessa Corte costituzionale, dalla ordinanza 17.5.2013 della Cassazione e soprattutto dalla sentenza della Cassazione 8878 del 16 aprile 2014, emanata dopo C. Cost. 1/2014, che afferma la sussistenza del nesso di pregiudizialità delle questioni di costituzionalità e perciò la prospettata separazione e distinzione delle domande processuali proposte dal giudice a quo e in Corte costituzionale.
Invece è ritenuta inammissibile la questione riguardante la violazione del procedimento di approvazione della legge elettorale, art. 72 Cost., attraverso anche la compressione dei tempi di discussione e votazione e l'apposizione della fiducia: la Corte non entra nel merito, si limita a rilevare che le ordinanze dei giudici di merito non comprendono questa eccezione e non si può chiedere che la Corte sollevi dinanzi a sé la questione perchè questo aggirerebbe il limite detto e perché le questioni sono già state ritenute manifestamente infondate dai giudici a quo. Sul punto si possono nutrire dei dubbi, non solo per la ragione strumentale che una dichiarazione di violazione del procedimento di deliberazione "ordinario" previsto dalla costituzione avrebbe portato alla caducazione dell'intera legge elettorale, ma perché l'oggetto della legge richiede un particolare rigore sul rispetto delle modalità di discussione e approvazione in parlamento e gli ostacoli formali addotti dalla Corte paiono non esser sufficienti ad impedire il vaglio di legittimità.
Veniamo al premio di maggioranza: per quello previsto dalla legge in esame al primo turno la Corte ritiene che, riconosciuta al legislatore "un'ampia discrezionalità nella scelta del sistema elettorale che ritenga più idoneo in relazione al contesto storico-politico in cui tale sistema è destinato ad operare", resta un giudizio di razionalità alla Corte che nel caso assolve la legge. La sentenza richiama infatti i precedenti in materia che hanno richiesto una soglia di accesso al premio di maggioranza che incida sull'attribuzione dei seggi (sent. 1/2014, 13/2012, 15 e 16/2008) e questa soglia prevista dalla legge 52/2015 è ritenuta ora adeguata a contemperare gli obiettivi di rappresentatività del parlamento e di stabilità del governo.
Invece è ritenuta fondata l'eccezione di costituzionalità del premio al ballottaggio: infatti il secondo turno assegna comunque il premio alla lista delle due che siano arrivate prime per numero di voti validi al primo turno, solo perché abbiano superato lo sbarramento del 3%. Il premio sarà ottenuto solo sul presupposto di ottenere al secondo turno un voto più della lista concorrente, senza alcun riferimento alla porzione di aventi diritto al voto che abbia partecipato al secondo turno, porzione che si può prevedere che possa essere anche molto ridotta "come prevedibile conseguenza della radicale riduzione dell'offerta elettorale" (così argomentavano i giudici rimettenti per questo punto, i Tribunali di Torino, Perugia, Trieste e Genova); inoltre non sono consentiti apparentamenti o collegamenti tra liste. La Corte ritiene che le indicazioni della sentenza 1/2014 siano state recepite dal legislatore del 2015 nel disegnare il primo turno di votazioni, ma il secondo è disegnato in modo illegittimo, eccessivamente distorsivo della volontà degli elettori. Infatti è costruito come "prosecuzione del primo turno" - e non come nuova votazione - utile solo a individuare il vincitore del premio ed a cui non partecipano altro che le prime due liste, le altre restando confinate (anche per il divieto di apparentamenti) come peso in seggi al risultato percentuale del I turno. Il premio così configurato è necessariamente un premio di maggioranza, non un premio di governabilità e pertanto deve esserne valutato il rispetto della "esigenza costituzionale di non comprimere eccessivamente il carattere rappresentativo dell'assemblea elettiva e l'eguaglianza del voto", esigenza che, dice la sentenza n. 35, non è rispettata dal sistema di assegnazione del premio al ballottaggio perché una lista "può accedere al turno di ballottaggio anche avendo conseguito, al primo turno, un consenso esiguo, e ciononostante ottenere il premio, vedendo più che raddoppiati i seggi che avrebbe conseguito sulla base dei voti ottenuti al primo turno. Le disposizioni censurate riproducono così, seppure al turno di ballottaggio, un effetto distorsivo analogo a quello che questa Corte aveva individuato, nella sentenza n. 1 del 2014, in relazione alla legislazione elettorale previgente".
Ed ecco il passo essenziale, sul punto, della sentenza n. 35 del 2017 che si allinea pienamente, ripetendone i principi cardine (il confronto tra interesse legittimo alla governabilità e principio costituzionale di rappresentatività delle istituzioni e uguaglianza del voto): "Se è vero che, nella legge n. 52 del 2015, il turno di ballottaggio fra le liste più votate ha il compito di supplire al mancato raggiungimento, al primo turno, della soglia minima per il conseguimento del premio, al fine di indicare quale sia la parte politica destinata a sostenere, in prevalenza, il governo del Paese, tale obbiettivo non può giustificare uno sproporzionato sacrificio dei principi costituzionali di rappresentatività e di uguaglianza del voto, trasformando artificialmente una lista che vanta un consenso limitato, ed in ipotesi anche esiguo, in maggioranza assoluta". L'avverbio artificialmente è usato non a caso e più avanti la sentenza chiarisce che l'individuazione di una maggioranza è creata da un meccanismo, non da una scelta: "È vero che, all’esito del ballottaggio, il premio non è determinato artificialmente, conseguendo pur sempre ad un voto degli elettori, ma se il primo turno dimostra che nessuna lista, da sola, è in grado di conquistare il premio di maggioranza, soltanto le stringenti condizioni di accesso al turno di ballottaggio conducono, attraverso una radicale riduzione dell’offerta politica, alla sicura attribuzione di tale premio".
Giova sottolineare, per evitare letture distorsive della sentenza, come la "divaricazione" censurata dalla sentenza in questo passo non sia tra le maggioranze che potrebbero generarsi nelle due camere, ma tra la composizione di una delle due assemblee (la legge in esame vale solo per la Camera) e la volontà dei cittadini: "Le disposizioni censurate producono una sproporzionata divaricazione tra la composizione di una delle due assemblee che compongono la rappresentanza politica nazionale, centro del sistema di democrazia rappresentativa e della forma di governo parlamentare prefigurati dalla Costituzione, da un lato, e la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto, «che costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare secondo l’art. 1 della Costituzione» (sentenza n. 1 del 2014), dall’altro".
La questione delle maggioranze omogenee è ripresa con un inciso a fine sentenza, laddove rigetta l'argomento della incostituzionalità della diversità dei sistemi elettorali previsti per le due camere, dopo la vittoria (ovviamente le ordinanze si riferivano ad una mera ipotesi, prima della vittoria del no al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016). L'argomento è respinto sostanzialmente per difetto di motivazione delle ordinanze di rimessione, ovvero per insufficiente indicazione dei motivi per cui si ritiene che la normativa violerebbe le singole disposizioni costituzionali invocate (artt. 1, 3, 48, 49, 51, 56); e mancato riferimento proprio "delle due disposizioni costituzionali che dovrebbero necessariamente venire in considerazione (cioè gli artt. 94, primo comma, e 70 Cost.) laddove si intenda sostenere che due leggi elettorali «diverse» compromettano, sia il funzionamento della forma di governo parlamentare delineata dalla Costituzione repubblicana, nella quale il Governo deve avere la fiducia delle due Camere, sia l’esercizio della funzione legislativa, attribuita collettivamente a tali due Camere". E qui la Consulta sembra cogliere nel segno. Ma si deve rilevare che è una soluzione di rigetto formalistica che, proprio perché è seguita da una dichiarata preoccupazione proprio per il rischio di produzione di maggioranze non omogenee nei due rami del parlamento, risulta insoddisfacente: la Corte arriva a dire che la Costituzione "esige che, al fine di non compromettere il corretto funzionamento della forma di governo parlamentare, i sistemi adottati, pur se differenti, non devono ostacolare, all'esito delle elezioni, la formazione di maggioranze parlamentari omogenee". Quindi non si può dire che la Consulta si preoccupi di "armonizzare" il sistema, perché altrimenti avrebbe utilizzato o il motivo di censura che riguarda il mancato rispetto del procedimento parlamentare ordinario (art. 72 Cost.) oppure questo motivo di censura dei meccanismi diversi delle due leggi risultanti in vigore per cancellare interamente, o almeno in parti ben più essenziali (il premio al primo turno, anche) la legge per la Camera, consegnando agli elettori due meccanismi omogenei. Invece si limita a tutelare altri pur ragguardevoli principi quali la pienezza del diritto di voto e la rappresentatività del ramo del parlamento sulla cui legge è chiamata ad esprimersi.
Detto ciò, bisogna anche ammettere che la Corte si premura di censurare non il turno di ballottaggio tra liste in sé, ma la specifica disciplina che ne ha dato la L. 52/2017 quale ballottaggio in collegio unico nazionale con voto di lista, estraneo ad ogni esperienza straniera (quali i collegi uninominali), ammettendo che "non potrebbe essere questa Corte a modificare, tramite interventi manipolativi o additivi, le concrete modalità attraverso le quali il premio viene assegnato all’esito del ballottaggio, inserendo alcuni, o tutti, i correttivi la cui assenza i giudici rimettenti lamentano. Ciò spetta all’ampia discrezionalità del legislatore (ad esempio, in relazione alla scelta se attribuire il premio ad una singola lista oppure ad una coalizione tra liste: sentenza n. 15 del 2008), al quale il giudice costituzionale, nel rigoroso rispetto dei propri limiti d’intervento, non può sostituirsi.
Inoltre, alcuni di questi interventi (che, in astratto considerati, potrebbero rendere il turno di ballottaggio compatibile con i tratti qualificanti dell’organo rappresentativo nazionale) non sarebbero comunque nella disponibilità di questa Corte, a causa della difficoltà tecnica di restituire, all’esito dello scrutinio di legittimità costituzionale, una disciplina elettorale immediatamente applicabile, "complessivamente idonea a garantire l’immediato rinnovo dell’organo costituzionale elettivo (da ultimo, sentenza n. 1 del 2014)". Ma tale giudizio negativo del meccanismo non travolge nemmeno la legge per le elezioni dei comuni con più di 15.000 abitanti, soprattutto perché lì è prevista l'elezione diretta del sindaco (e non un sistema "parlamentare", quindi) e la coerenza del sistema è assicurata.
Il meccanismo dell'Italicum, quindi, è inadeguato allo scopo: è "finalizzato a completare la composizione dell'assemblea rappresentativa" che per il resto è (salvo le distorsioni conseguenti all'assegnazione del premio) composta sulla base del risultato proporzionale nazionale. In un sistema parlamentare la legge elettorale per ciascuna delle due camere, se con funzioni analoghe, legislative e di sostegno della maggioranza governativa, non può che "assicurare il valore costituzionale della rappresentatività", mentre la disciplina censurata "trasforma e in radice la logica e lo scopo della competizione elettorale" ed appare (la conclusione è solo suggerita dalla Corte, ma gli elementi sono posti lì e valutati senz'altro con questo obiettivo) come un meccanismo pensato per eleggere una carica monocratica applicato innaturalmente e irrazionalmente per determinare la composizione di una assemblea elettiva.
Pertanto la sentenza ha ritenuto di dover dichiarare l'illegittimità delle disposizioni, della legge 52 del 2015, che avevano introdotto il secondo turno di votazione; la normativa di risulta "è idonea a garantire il rinnovo, in ogni momento, dell'organo costituzionale elettivo", con l'effetto che in caso di mancato raggiungimento, da parte di alcuna lista, della soglia del 40%, si procederà al riparto interamente proporzionale dei seggi alla Camera (art. 83, I comma, n. 4) tra le liste che avranno superato lo sbarramento del 3% (art. 83, I comma, n. 3).
Una serie di profili di dubbia costituzionalità esaminata dalla sentenza 35 attiene alle modalità di scelta del candidato: già la sentenza 1/2014 si era occupata di liste bloccate ed aveva censurato la previsione di liste bloccate per l'attribuzione dell'interezza dei seggi della legge 270/2005, salvando esplicitamente previsioni diverse quali le liste bloccate per solo una parte dei seggi e le liste bloccate in un circoscrizione territorialmente molto contenuta, tanto da consentire la conoscibiltà dei canditati. Il sistema di scelta è giudicato sostanzialmente migliorato dalla nuova legge per la Camera, 52/2015, in quanto a fronte dell'intera lista lunga bloccata ci propone liste brevi in quanto riferite a 100 collegi piccoli, solo il capolista è bloccato e l'elettore può esprimere due preferenze tra i non capilista. La sentenza supera anche la censura riferita al fatto che solo la lista che si aggiudica il premio sceglie, tra i 340 seggi assegnatigli, solo 100 seggi col meccanismo dei capilista bloccati e 240 con quello delle preferenze, mentre le liste di minoranza satureranno la scelta dei seggi con i propri capilista, risultando probabilmente almeno tre le liste assegnatarie dei rimanenti 278 seggi: ritiene in breve, la Corte, che i capilista sono scelti dai partiti e la qualità della partecipazione in questi e della rappresentatività delle loro scelte di candidatura non può ricadere sul legislatore; svolge inoltre, la Corte, un'altra considerazione che andrebbe verificata più meditatamente: ritiene che l'effetto negativo paventato dall'ordinanza di rimessione si produrrebbe solo se i risultati delle minoranze fossero omogenei su tutto il territorio nazionale, mentre un partito più forte in alcuni colleghi otterrebbe ben più del solo capolista, aprendo quindi, anche una lista che a livello nazionale resti di minoranza, a candidati scelti con le preferenze; ma tale conclusione sembra contrastare con il meccanismo di riparto proporzionale su collegio unico nazionale della legge 52/2015 che, pur contenendo i detti collegi territorialmente circoscritti, non consente una ripartizione territoriale.
Comunque l'ampia pervasività della scelta dei candidati col meccanismo dei capilista bloccati è promossa dalla Corte con argomenti ipotetici e deboli, sorprende invece il rigore con cui è accolto, come noto, il meccanismo di rinuncia del candidato eletto in più collegi plurinominali. La Corte accoglie la lamentela dei giudici a quo (volendo proprio declinare, a quibus) secondo cui "l’opzione arbitraria affida irragionevolmente alla decisione del capolista il destino del voto di preferenza espresso dall’elettore nel collegio prescelto, determinando una distorsione del suo esito in uscita, in violazione non solo del principio dell’uguaglianza ma anche della personalità del voto, tutelati dagli artt. 3 e 48, secondo comma, Cost."; e ipotizza poi vari criteri sostitutivi dell'arbitrarietà della scelta. I limiti del giudizio di costituzionalità, che non può essere creativo o additivo, hanno prodotto il noto esito dell'introduzione, al posto dell'arbitrio del capolista, del criterio dell'estrazione a sorte per individuare il seggio in cui il canditato plurivincitore debba risultare eletto (a sacrificio dunque del più votato in preferenze di quel collegio): l'esito è indotto dal fatto che l'ablazione della prima parte dell'art. 85 del DPR 361/1957 lascia in vigore la parte che prevedeva già il criterio residuale dell'estrazione a sorte, qualora il capolista non avesse esercitato la facoltà di scelta. Ovviamente la Corte invita il legislatore a sostituire la normativa di risulta con una disposizione che introduca un criterio maggiormente rispettoso della volontà degli elettori.
La sentenza n. 35/2017 ci lascia quindi un sistema potenzialmente maggioritario alla Camera, come si percepiva già il 25 gennaio all'esito dell'udienza pubblica, in cui l'attribuzione dei seggi è determinata in proporzione al voto ottenuto dalle singole liste, salva la remota ipotesi che una di esse (o due, per puro esercizio astratto) ottenga almeno il 40% dei voti (nel qual caso scatterebbe il premio di maggioranza).
Se si condivide l'utilità di una almeno parziale armonizzazione con il sistema in vigore al Senato, non si può negare che tutti i principi e i precedenti invocati nelle sentenze n. 1/2014 e 35/2017 spingano verso l'abrogazione del premio di maggioranza alla Camera, per avvicinarsi al sistema del Senato, il c.d. Consultellum: un proporzionale con sbarramenti.
Certo, la Consulta non chiede un sistema proporzionale puro, si sofferma anche troppo, nelle sentenze citate, a suggerire alternative ai meccanismi estremi introdotti dalle leggi volute da Berlusconi nel 2005 e da Renzi nel 2015. Ma tra le possibili "correzioni" del sistema proporzionale al fine di evitare eccessiva frammentazione e di facilitare la formazione di maggioranze e il premio ispirato da Roberto D'Alimonte che crea, a tutti i costi, una maggioranza governativa c'è un abisso.
Qualunque direzione venga presa dal legislatore, sarà viziata politicamente dall'esser adottata da un parlamento determinato da una legge dichiarata incostituzionale e le cui distorsioni in termini di seggi rispetto ai voti ottenuti sono macroscopiche e continuano a generare interventi nel nostro ordinamento giuridico che a fatica, e non da oggi, trovano sostegno nel principio di continuità delle istituzioni affermato in chiusura dalla Corte nel gennaio 2014.
mercoledì 25 gennaio 2017
Anche l'Italicum è incostituzionale
Dichiarati
illegittimi il ballottaggio (resta il premio al primo e unico turno per
la Camera, quindi) e l'opzione di scelta del capolista che risulti
eletto su più collegi (risulterà eletto dal collegio estratto a sorte,
quindi).
Restano pendenti altri giudizi in diversi tribunali che potrebbero fare nuove rimessioni alla corte, ma soprattutto è da vedere cosa la corte abbia detto dei motivi di presunta incostituzionalità non accolti, non è detto che siano stati esclusi nel merito.
Il premio al primo turno solo se si supera la soglia del 40% indurrà ad accordi, altrimenti la legge funzionerà come un proporzionale con soglia al 3%. Una cosa quasi accettabile. E compatibile con il sistema del Senato (proporzionale a turno unico, ma senza premio, quindi rischio di maggioranze diverse camera/senato). Certo, non la legge auspicata, il premio di maggioranza ha una soglia non indifferente, ma è pur sempre il premio ad una minoranza, e se raggiunto stravolgerà il risultato elettorale aumentando di ben 14 punti che sono ben il 35% di 40, fino ad arrivare al 54% dei seggi della Camera. Ovviamente a sacrificio delle opposizioni che risulterebbero ridotte, complessivamente, dal 60% del risultato elettorale al 46% (quindi una sottrazione del 23% dei seggi cui avrebbero avuto diritto le opposizioni). A questo si aggiunge lo sbarramento unico del 3%, che pure è rimasto in vita.
Che il risultato sia "una legge immediatamente applicabile" non è una notizia, non poteva essere altrimenti: la consulta non poteva consegnare all'ordinamento un vuoto legislativo perché la legge elettorale è costituzionalmente necessaria, non si può togliere disposizioni la cui mancanza impedisca, in qualunque momento, di poter rinnovare organi costituzionali necessari quali le camere.
Altro aspetto giuridico rilevante è che la corte ha considerato giustiziabile una legge elettorale ancora non applicata, quindi, come rileva Felice Besostri, l'artefice principale dei ricorsi che hanno portato a questo giudizio di costituzionalità, è stabilito con questa pronuncia che "le leggi elettorali incostituzionali non devono essere applicate. Se la difesa del Governo fosse stata solo nel merito, il risultato sarebbe insoddisfacente, ma avendo chiesto l'inammissibilità di tutte le ordinanze, la sconfitta degli amici dell'Italikum è totale".
Del risultato della pronuncia del 25 gennaio c'è chi critica il sorteggio, il meccanismo, che pure ha la sua dignità, farà anche sorridere, ma è l'effetto della parziale abrogazione della disposizione: l'art. 85 del dpr del 1957 dice che chi ha vinto in più collegi deve scegliere, se non sceglie si estrae a sorte. Non chi vince, ma il collegio vinto dal vincitore. Il motivo è chiaro: non si vuole che il candidato in più collegi tenga per il bavero una decina di candidati arrivati secondi e 'desista' da quei collegi (meno uno) in cambio di favori. Bene dinque, si cancella uno dei difetti della candidatira plurima.
D.P.R. 30/03/1957, n. 361
Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati.
Pubblicato nella Gazz. Uff. 3 giugno 1957, n. 139, S.O.
85. 1. Il deputato eletto in più collegi plurinominali deve dichiarare alla Presidenza della Camera dei deputati, entro otto giorni dalla data dell'ultima proclamazione, quale collegio plurinominale prescelga. Mancando l'opzione, si procede al sorteggio.
Questo il comunicato della Corte costituzionale del 25 gennaio:
http://www.cortecostituzionale.it/…/CC_CS_20170125174754.pdf
"Oggi, 25 gennaio 2017, la Corte costituzionale si è pronunciata sulle questioni di legittimità costituzionale della legge elettorale n. 52 del 2015 (c.d. Italicum), sollevate da cinque diversi Tribunali ordinari. La Corte ha respinto le eccezioni di inammissibilità proposte dall'Avvocatura generale dello Stato. Ha inoltre ritenuto inammissibile la richiesta delle parti di sollevare di fronte a se stessa la questione sulla costituzionalità del procedimento di formazione della legge elettorale, ed è quindi passata all'esame delle singole questioni sollevate dai giudici. Nel merito, ha rigettato la questione di costituzionalità relativa alla previsione del premio di maggioranza al primo turno, sollevata dal Tribunale di Genova, e ha invece accolto le questioni, sollevate dai Tribunali di Torino, Perugia, Trieste e Genova, relative al turno di ballottaggio, dichiarando l'illegittimità costituzionale delle disposizioni che lo prevedono. Ha inoltre accolto la questione, sollevata dagli stessi Tribunali, relativa alla disposizione che consentiva al capolista eletto in più collegi di scegliere a sua discrezione il proprio collegio d'elezione. A seguito di questa dichiarazione di incostituzionalità, sopravvive comunque, allo stato, il criterio residuale del sorteggio previsto dall'ultimo periodo, non censurato nelle ordinanze di rimessione, dell'art. 85 del d.p.r n. 361 del 1957. Ha dichiarato inammissibili o non fondate tutte le altre questioni. All'esito della sentenza, la legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione".
Restano pendenti altri giudizi in diversi tribunali che potrebbero fare nuove rimessioni alla corte, ma soprattutto è da vedere cosa la corte abbia detto dei motivi di presunta incostituzionalità non accolti, non è detto che siano stati esclusi nel merito.
Il premio al primo turno solo se si supera la soglia del 40% indurrà ad accordi, altrimenti la legge funzionerà come un proporzionale con soglia al 3%. Una cosa quasi accettabile. E compatibile con il sistema del Senato (proporzionale a turno unico, ma senza premio, quindi rischio di maggioranze diverse camera/senato). Certo, non la legge auspicata, il premio di maggioranza ha una soglia non indifferente, ma è pur sempre il premio ad una minoranza, e se raggiunto stravolgerà il risultato elettorale aumentando di ben 14 punti che sono ben il 35% di 40, fino ad arrivare al 54% dei seggi della Camera. Ovviamente a sacrificio delle opposizioni che risulterebbero ridotte, complessivamente, dal 60% del risultato elettorale al 46% (quindi una sottrazione del 23% dei seggi cui avrebbero avuto diritto le opposizioni). A questo si aggiunge lo sbarramento unico del 3%, che pure è rimasto in vita.
Che il risultato sia "una legge immediatamente applicabile" non è una notizia, non poteva essere altrimenti: la consulta non poteva consegnare all'ordinamento un vuoto legislativo perché la legge elettorale è costituzionalmente necessaria, non si può togliere disposizioni la cui mancanza impedisca, in qualunque momento, di poter rinnovare organi costituzionali necessari quali le camere.
Altro aspetto giuridico rilevante è che la corte ha considerato giustiziabile una legge elettorale ancora non applicata, quindi, come rileva Felice Besostri, l'artefice principale dei ricorsi che hanno portato a questo giudizio di costituzionalità, è stabilito con questa pronuncia che "le leggi elettorali incostituzionali non devono essere applicate. Se la difesa del Governo fosse stata solo nel merito, il risultato sarebbe insoddisfacente, ma avendo chiesto l'inammissibilità di tutte le ordinanze, la sconfitta degli amici dell'Italikum è totale".
Del risultato della pronuncia del 25 gennaio c'è chi critica il sorteggio, il meccanismo, che pure ha la sua dignità, farà anche sorridere, ma è l'effetto della parziale abrogazione della disposizione: l'art. 85 del dpr del 1957 dice che chi ha vinto in più collegi deve scegliere, se non sceglie si estrae a sorte. Non chi vince, ma il collegio vinto dal vincitore. Il motivo è chiaro: non si vuole che il candidato in più collegi tenga per il bavero una decina di candidati arrivati secondi e 'desista' da quei collegi (meno uno) in cambio di favori. Bene dinque, si cancella uno dei difetti della candidatira plurima.
D.P.R. 30/03/1957, n. 361
Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati.
Pubblicato nella Gazz. Uff. 3 giugno 1957, n. 139, S.O.
85. 1. Il deputato eletto in più collegi plurinominali deve dichiarare alla Presidenza della Camera dei deputati, entro otto giorni dalla data dell'ultima proclamazione, quale collegio plurinominale prescelga. Mancando l'opzione, si procede al sorteggio.
Questo il comunicato della Corte costituzionale del 25 gennaio:
http://www.cortecostituzionale.it/…/CC_CS_20170125174754.pdf
"Oggi, 25 gennaio 2017, la Corte costituzionale si è pronunciata sulle questioni di legittimità costituzionale della legge elettorale n. 52 del 2015 (c.d. Italicum), sollevate da cinque diversi Tribunali ordinari. La Corte ha respinto le eccezioni di inammissibilità proposte dall'Avvocatura generale dello Stato. Ha inoltre ritenuto inammissibile la richiesta delle parti di sollevare di fronte a se stessa la questione sulla costituzionalità del procedimento di formazione della legge elettorale, ed è quindi passata all'esame delle singole questioni sollevate dai giudici. Nel merito, ha rigettato la questione di costituzionalità relativa alla previsione del premio di maggioranza al primo turno, sollevata dal Tribunale di Genova, e ha invece accolto le questioni, sollevate dai Tribunali di Torino, Perugia, Trieste e Genova, relative al turno di ballottaggio, dichiarando l'illegittimità costituzionale delle disposizioni che lo prevedono. Ha inoltre accolto la questione, sollevata dagli stessi Tribunali, relativa alla disposizione che consentiva al capolista eletto in più collegi di scegliere a sua discrezione il proprio collegio d'elezione. A seguito di questa dichiarazione di incostituzionalità, sopravvive comunque, allo stato, il criterio residuale del sorteggio previsto dall'ultimo periodo, non censurato nelle ordinanze di rimessione, dell'art. 85 del d.p.r n. 361 del 1957. Ha dichiarato inammissibili o non fondate tutte le altre questioni. All'esito della sentenza, la legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione".
martedì 17 gennaio 2017
Eletti o diretti
Raggi: il contratto tra candidati M5S e Garanti (non la srl Casaleggio) non è stato giudicato dal tribunale civile di Roma. E non c'è ineleggibilità. Il ricorso dell'avv. Venerando Monello (che il Tribunale chiama in dispositivo Monello Vagabondo) è composto da una sommatoria un po' caotica di principi difficilmente criticabili.
Ha un merito: ha portato nel dibattito i vincoli cui si sottopongono i candidati del M5S. Non basta contrapporre il divieto del vincolo di mandato. Quei vincoli, se rispettati, producono l'eterodirezione completa dell'eletto.
Credo che quel contratto sia radicalmente nullo (per illiceità della causa, direi) e che pertanto non vincoli gli eletti; e saranno loro a poterlo far dichiarare nullo dal tribunale, se l'altro contraente (Grillo) chiedesse i 150.000 euro o le dimissioni in caso di pretesa violazione.
Quindi spero che ogni eletto del M5S si prepari ad una sonora pernacchia dinanzi alle richieste di Grillo e dei suoi sgherri.
Ma l'effetto più grave di quel contratto è che, finché c'è, costituisce una minaccia grave alla democrazia rappresentativa che, infatti, il M5S vuole distruggere. E pretende di sottoporre le cariche istituzionali alla disciplina di partito.
È una questione di cultura politica e istituzionale enorme che una sentenza non avrebbe potuto comunque risolvere.
Ha un merito: ha portato nel dibattito i vincoli cui si sottopongono i candidati del M5S. Non basta contrapporre il divieto del vincolo di mandato. Quei vincoli, se rispettati, producono l'eterodirezione completa dell'eletto.
Credo che quel contratto sia radicalmente nullo (per illiceità della causa, direi) e che pertanto non vincoli gli eletti; e saranno loro a poterlo far dichiarare nullo dal tribunale, se l'altro contraente (Grillo) chiedesse i 150.000 euro o le dimissioni in caso di pretesa violazione.
Quindi spero che ogni eletto del M5S si prepari ad una sonora pernacchia dinanzi alle richieste di Grillo e dei suoi sgherri.
Ma l'effetto più grave di quel contratto è che, finché c'è, costituisce una minaccia grave alla democrazia rappresentativa che, infatti, il M5S vuole distruggere. E pretende di sottoporre le cariche istituzionali alla disciplina di partito.
È una questione di cultura politica e istituzionale enorme che una sentenza non avrebbe potuto comunque risolvere.
mercoledì 11 gennaio 2017
Referendum sul Jobs Act: inammissibile il quesito più rilevante
Il referendum sul Jobs Act, rivolto a ridurre i limiti portati all'art. 18 st.lav.: se la relatrice Silvana Sciarra, competente e seria, era favorevole all'ammissibilità, c'è stata una netta opposizione che credo abbia poco di tecnicamente plausibile, ma vedremo la motivazione della Corte costituzionale. Certo è che l'art. 75 cost. non giustifica strette (creative) ad eventuali quesiti "manipolativi", creativi, niente impone che con l'abrogazione torni il regime precedente. Parte della giurisprudenza ostituzionale stava stringendo troppo, a detta do molti, e forse leggeremo giustificazioni in questo ordine di idee che strozza uno strumento di democrazia diretta, invece di dargli il respiro che la costituzione suggerisce. Ovvero: la reintegra nel posto di lavoro è istituto già esistente (pr quel che ne resta) nell'ordinamento. Un quesito che ne avesse abrogato dei limiti non è surrettiziamente creativo (fintamente abrogativo), o manipolativo.
mercoledì 4 gennaio 2017
Populismo vs. censura
Grillo è un irresponsabile, ogni volta che parla di democrazia e informazione scompare un libro di storia, o semplicemente un dizionario. E contro trombonate simili non c'è difesa, raccolgono inevitabilmente un po' di consenso.
Certo che sui giornali o in televisione non ci sono solo notizie "vere"! Vere vuol dire attendibili e verificate, la verità si cerca, non si possiede, ma le bufale, spesso innocue (perché su boiate, cui di solito Grillo crede), e la disinformazione pesante (quella dei governi, dei guerrafondai, dei dittatori) corrono sui giornali come sul web, anche se per ragioni in parte diverse, e la contrapposizione di Grillo che attacca i giornali contro Pitruzzella che è preoccupato dal web è fuorviante, parlano di mondi permeabili, che si influenzano a vicenda, anche se hanno debolezze peculiari. Però criticare Grillo, il web e i giornali non basta. Anzi: farlo da qui credo che contribuisca a dar fiato a uno dei massimi strumenti di disinformazione e di destrutturazione del sistema.
Sì, di quel sistema, incerto e fallibile, ma sperimentato, che è appunto democrazia e informazione, e informazione in un contesto democratico, che è fatto di elementi incerti, costosi e che richiedono tempo e sostegno da parte di tutti noi: formazione scolastica e professionale, pluralismo delle testate giornalistiche, autorevolezza condivisa delle fonti; e web libero, ma controllato da utenti preparati, con alle spalle una formazione scolastica di base che impedisca scivoloni, consenta una diffusa comprensione e un controllo diffuso di qualità; e, solo in casi estremi, dove pluralismo e confutabilità di tutto da parte di tutti non basta, un controllo affidato alla magistratura. Che, almeno nel nostro sistema, non è né estratta a sorte né eletta dal popolo, ma è selezionata attraverso un percorso di studi e di concorsi e di controllo discplinare in base a leggi condivise.
v. la polemica su Pitruzzella e Grillo in una sintesi del Post:
http://www.ilpost.it/2017/01/04/grillo-m5s-giornali-giuria-popolare/
Certo che sui giornali o in televisione non ci sono solo notizie "vere"! Vere vuol dire attendibili e verificate, la verità si cerca, non si possiede, ma le bufale, spesso innocue (perché su boiate, cui di solito Grillo crede), e la disinformazione pesante (quella dei governi, dei guerrafondai, dei dittatori) corrono sui giornali come sul web, anche se per ragioni in parte diverse, e la contrapposizione di Grillo che attacca i giornali contro Pitruzzella che è preoccupato dal web è fuorviante, parlano di mondi permeabili, che si influenzano a vicenda, anche se hanno debolezze peculiari. Però criticare Grillo, il web e i giornali non basta. Anzi: farlo da qui credo che contribuisca a dar fiato a uno dei massimi strumenti di disinformazione e di destrutturazione del sistema.
Sì, di quel sistema, incerto e fallibile, ma sperimentato, che è appunto democrazia e informazione, e informazione in un contesto democratico, che è fatto di elementi incerti, costosi e che richiedono tempo e sostegno da parte di tutti noi: formazione scolastica e professionale, pluralismo delle testate giornalistiche, autorevolezza condivisa delle fonti; e web libero, ma controllato da utenti preparati, con alle spalle una formazione scolastica di base che impedisca scivoloni, consenta una diffusa comprensione e un controllo diffuso di qualità; e, solo in casi estremi, dove pluralismo e confutabilità di tutto da parte di tutti non basta, un controllo affidato alla magistratura. Che, almeno nel nostro sistema, non è né estratta a sorte né eletta dal popolo, ma è selezionata attraverso un percorso di studi e di concorsi e di controllo discplinare in base a leggi condivise.
v. la polemica su Pitruzzella e Grillo in una sintesi del Post:
http://www.ilpost.it/2017/01/04/grillo-m5s-giornali-giuria-popolare/
mercoledì 28 dicembre 2016
Spazio al tempo
Se è vero che Albert Einstein nella teoria della relatività generale ha immaginato la coincidenza del campo gravitazionale con lo spazio, pensando quindi che il campo gravitazionale non sia diffuso nello spazio, ma coincida con lo spazio, egli ha teorizzato una semplificazione del mondo e della descrizione dello spazio e della materia che contiene: lo spazio non è più diverso dalla materia, ma è una delle componenti materiali del mondo, una entità che ondula e unisce tutta la materia.
Ora, la spiegazione della dimensione spaziale, per quanto ne so, non può essere molto diversa dalla spiegazione del tempo: spiegare il tempo senza utilizzare una categoria analoga, o coincidente, al tempo stesso, non è facile, spiegare il tempo come susseguirsi di momenti vuol dire evocare il tempo, il momento non essendo altro che una piccola porzione di tempo. E così come si spiega la gravità con la materia e quindi lo spazio e la relazione fra gli oggetti con una forza come la gravità, vorrei provare a spiegare il tempo con un'entità diversa, che non sia la semplice materia che ci serve per capire lo spazio, ma sia qualcosa di nuovo e, probabilmente, dovrà essere dinamico.
Ecco allora che mi sembra indispensabile usare qualcosa che sia applicabile al tutto per come lo conosciamo, ed è un tutto in divenire... e noi sappiamo che il divenire è collegato al tempo, ma allora il tempo non collega cose che non divengono - cose immutabili - se l'universo fosse un insieme di oggetti immutabili, non avremmo necessità o capacità, addirittura, ammesso che in quel caso esisteremmo, di pensare o di descrivere la categoria tempo. L'universo invece è un insieme di divenire, è un insieme di eventi che hanno un inizio e una fine, o comunque che hanno momenti di stadi diversi, quindi la materia, nella sua complessità, nelle forme, nelle velocità, nelle energie che esprime, la materia si evolve, quindi realizza eventi.
Un universo immutabile ed immobile potremmo immaginarlo eterno, ma non avrebbe bisogno di tempo perché il prima sarebbe uguale al dopo, il presente sarebbe l'unica dimensione utile alla sua descrizione. Non potremmo distinguerlo, non vi sarebbe nemmeno un essere pensante capace di distinguerlo: il tempo ha le due qualità di essere possibile solo se avvengono degli eventi che mutano ed è indispensabile all'esistenza di eventi perché non potrebbe darsi la contemporaneità di eventi per la stessa materia se non ci fosse il tempo che, perciò, è la possibilità di disporre entro di esso, quindi entro il tempo, una pluralità di eventi. Quindi il tempo ha in questo una caratteristica molto simile al campo gravitazionale: oltre al campo gravitazionale, oltre al campo elettrico, esiste anche un campo temporale che è un flusso che unisce i vari eventi da miliardi di anni fa fino al futuro che possiamo immaginare.
Gli eventi esistono solo nella loro possibilità di disporsi nel campo temporale. Quindi il tempo è il susseguirsi di eventi intesi come stadi di manifestazione e comportamento ed espressione della materia in ogni suo luogo, in ogni sua potenza, attraverso ogni possibile forma.
Così come lo spazio è la possibilità di esistere della materia, così il tempo è la possibilità di esistere degli eventi, quindi del divenire della materia. E questo per me è un traguardo percettivo, prima che riflessivo, di grande momento. Che lo dica anche Kant non riduce l'emozione della scoperta individuale.
Bene, se l'universo è nato, nella porzione spazio-temporale che conosciamo, bene o male, col Big bang, lì e allora sono nati spazio e tempo. Non so (non sappiamo) quanto sia durato lo stallo spazio-temporale, magari un istante, magari prima esistevano un altro tempo e un altro spazio, ma la contrazione gravitazionale che rende difficile pensare ad un'estensione spaziale, rende poco sensato anche pensare ad un'estensione temporale. Come un oggetto lanciato per aria prima di ricadere verso il basso stalla e per un istante non si muove, così fra ciò che era e l'avvio dell'universo che abitiamo vi è stato un momento in cui nulla si muoveva, nemmeno il tempo, e nulla mutava. Tutto avrebbe potuto restare immoto e immutevole, l'ente di Parmenide. Invece è ripartito, 13,8 miliardi di anni fa. Tutto ha ricominciato a succedere. E succedere vuol dire susseguirsi, nel tempo, e avvenire, nel campo degli eventi, a dimostrazione di come il tempo non sia altro che il tessuto degli eventi.
venerdì 23 dicembre 2016
Corte costituzionale: i vincoli di bilancio non possono comprimere diritti fondamentali
L'art. 81 Cost. ridimensionato dalla Corte?
La sentenza della Corte costituzionale n. 275 del 16.12.2016 afferma la prevalenza dell'effettività dei diritti sul vincolo dell'equilibrio di bilancio (il giudizio era sul limite di bilancio messo da legge della regione Abruzzo ai contributi al trasporto studenti disabili).
La decisione recupera, fra l'altro, un principio affermato prima di Lisbona, prima di Maastritch, prima del nuovo art. 81: "non si può ipotizzare che la legge di approvazione del bilancio o qualsiasi altra legge incidente sulla stessa costituiscano una zona franca sfuggente a qualsiasi sindacato del giudice di costituzionalità, dal momento che non vi può essere alcun valore costituzionale la cui attuazione possa essere ritenuta esente dalla inviolabile garanzia rappresentata dal giudizio di legittimità costituzionale" (sent. 260/1990).
Si dà così nuovo vigore al principio di inviolabilità dei diritti fondamentali (nel caso: diritto alla formazione dei disabili, art. 38 III comma): "È la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione" (sent. 275/2016).
La sentenza della Corte costituzionale n. 275 del 16.12.2016 afferma la prevalenza dell'effettività dei diritti sul vincolo dell'equilibrio di bilancio (il giudizio era sul limite di bilancio messo da legge della regione Abruzzo ai contributi al trasporto studenti disabili).
La decisione recupera, fra l'altro, un principio affermato prima di Lisbona, prima di Maastritch, prima del nuovo art. 81: "non si può ipotizzare che la legge di approvazione del bilancio o qualsiasi altra legge incidente sulla stessa costituiscano una zona franca sfuggente a qualsiasi sindacato del giudice di costituzionalità, dal momento che non vi può essere alcun valore costituzionale la cui attuazione possa essere ritenuta esente dalla inviolabile garanzia rappresentata dal giudizio di legittimità costituzionale" (sent. 260/1990).
Si dà così nuovo vigore al principio di inviolabilità dei diritti fondamentali (nel caso: diritto alla formazione dei disabili, art. 38 III comma): "È la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione" (sent. 275/2016).
sabato 26 novembre 2016
Note critiche al ddl costituzionale per il referendum del 4 dicembre 2016
di Paolo Solimeno (da Hyperpolis.it)
La modifica costituzionale proposta ( http://www.camera.it/leg17/126?pdl=2613-D ) ha radicali difetti di legittimità e coerenza, propone un modello di democrazia lontano da quello prefigurato dal costituzionalismo democratico in cui sono iscritte le migliori democrazie occidentali, nate o perfezionatesi nel secondo dopoguerra. Insieme alla legge elettorale n. 52 del 2015, l'Italicum, trasformerebbe il sistema italiano in un premierato forte, senza garanzie, con una Camera succube del capo dell'esecutivo.
Lasciare che questo sistema entri in
vigore vuol dire consegnare l'Italia a due padroni: i poteri
economici e finanziari sovranazionali e il vincitore delle prossime
elezioni, chiunque egli sia.
In modo alquanto sintetico elenco i
motivi per cui ritengo dovrebbe esser respinto il ddl Boschi-Renzi
per rinviare ad un'eventuale, non urgente e non indispensabile
piccola correzione del sistema istituzionale l'intervento
migliorativo della Costituzione del 1947, evitando di stravolgerla
nel modo frettoloso e pericoloso che ci propongono gli abusivi
“costituenti” del 2016.
1. Legittimità di questo ddl
costituzionale. Anzitutto un intervento così corposo che
ridisegna quasi tutta la Seconda parte della Costituzione (eccettuato
solo il Titolo IV sulla magistratura) introduce di fatto una nuova
costituzione esercitando in modo abusivo un potere “costituente”
che “non è previsto dal nostro sistema costituzionale: il
potere costituente è un potere sovrano, che l’articolo 1
attribuisce al “popolo” e solo al popolo, sicché nessun potere
costituito può appropriarsene; il potere di revisione è invece un
potere costituito, il cui esercizio non può consistere nella
produzione di una nuova Costituzione, ma solo in singoli e specifici
emendamenti onde sia consentito ai cittadini, come ha più volte
stabilito la Corte Costituzionale, di esprimere consenso o dissenso,
nel referendum confermativo, alle singole, specifiche revisioni”
(Luigi Ferrajoli, articolo del 25.6.2016 su
http://www.libertaegiustizia.it/2016/06/25/un-monocameralismo-imperfetto-per-una-perfetta-autocrazia/
). Intaccare tale principio vuol dire anche, di conseguenza,
intaccare l'irreversibilità della scelta democratica in assoluto e
nella particolare veste data dai costituenti nel 1946-'47: un'assetto
istituzionale e dei diritti fondamentali nel quadro del
costituzionalismo democratico e con peculiari accenti egualitari e
pluralistici.
2. Legittimità del parlamento che
ha approvato il ddl costituzionale. Le elezioni del 2013 che
hanno formato il parlamento attualmente in carica hanno applicato,
per la terza volta la legge elettorale n. 270/2005, il c.d.
“Porcellum”, che è stata abrogata dalla sentenza della Corte
costituzionale n. 1/2014 nelle sue parti fondamentali, il premio di
maggioranza e le liste bloccate: in quella sentenza (si trova su
http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2014&numero=1#
) la consulta ha ritenuto che il premio, pur perseguendo un obiettivo
di “governabilità” legittimo, non potesse sacrificare in modo
così eccessivo la funzione primaria e costituzionalmente necessaria
della rappresentatività delle assemblee elettive. Tale netta e
inconfutabile sentenza è contrastata da alcuni critici non per la correttezza del
giudizio di merito, ma solo perché dubitano che un giudizio di costituzionalità su una legge elettorale possa
ancora ritenersi “giudizio incidentale”, che è il meccanismo
attraverso il quale si accede, dal giudice di merito, alla Corte (a
sostegno però della piena accessibilità si è espressa con argomenti solidi l'ordinanza di
rimessione della Corte di Cassazione del 17.5.2013). Si
aggiunga che i parlamentari eletti rappresentano gli elettori in modo
del tutto irrazionale, a causa del premio e delle liste bloccate, ma
per il principio di continuità delle istituzioni si è ritenuto che
effetto della sentenza che rimuoveva le basi di legittimità del
parlamento non potesse provocare lo scioglimento immediato dello
stesso e, addirittura, l'annullamento delle leggi da questo approvate
(effetti tutti che sarebbero ragionevole conseguenza
dell'annullamento parziale della legge elettorale, secondo il
principio di retroattività delle sentenze), ma questo non può
indurre a considerare il parlamento, all'opposto, pienamente
legittimo: la sentenza 1/2014 consente una proroga temporanea dei
poteri delle camere (ed infatti richiama la “prorogatio” di cui
all'art. 61 Cost.) fino a nuove elezioni con nuova legge
elettorale, o con quella risultante dall'abrogazione, poteri rivolti a
coprire le esigenze della “ordinaria amministrazione”, non certo
ad esercitare il potere di revisione costituzionale ex art. 138, o
addirittura il potere costituente (v. punto 1). Si consideri solo, in
concreto, che disattendendo questo limite si consente che una forza
parlamentare, non eletta per fare modifiche costituzionali e pari al
25% circa degli elettori, stravolga una Carta costituzionale
approvata dal voto favorevole pari all'88% dei votanti di un'Assemblea costituente eletta con
legge elettorale proporzionale e con lo specifico mandato di scrivere quella
Carta.
3. Le modifiche di composizione e
modalità di elezione del Senato. La modifica trasforma il Senato
in camera non più eletta dal popolo, ma dai consigli regionali; e
nella riduzione da 315 a 95 membri, di cui 21 sindaci e 74
consiglieri regionali, che una volta eletti senatori resteranno anche
nelle loro cariche originarie. Il nuovo senato non rappresenterà le
regioni, né il popolo né le istituzioni, per l'elezione indiretta di figure non qualificanti, per il ridotto
numero di senatori (ben 10 regioni avranno solo 1 consigliere
regionale senatore e 1 sindaco senatore), perché anche le
regioni più grandi (la Lombardia avrà 14 senatori) eleggeranno
senatori in base a spartizioni tra maggioranza e opposizione, o
opposizioni, che senza vincolo di mandato andranno a coalizzarsi in
senato su base partitica nazionale, non territoriale o istituzionale. Inoltre la riduzione
del numero dei senatori stravolge l'equilibrio del parlamento ogni volta
che sia chiamato a votare in seduta comune: si tratta
delle importantissime elezioni del Presidente della Repubblica (art.
83, 2° c.), della sua messa in stato d'accusa (art. 90), dell'elezione
di un terzo dei membri del Consiglio superiore della Magistratura
(art. 104).
4. La modifica dei poteri
dell'esecutivo. Nessun articolo del Titolo Terzo (Il Governo) è
toccato dal ddl del governo, così si difendono Renzi e Boschi, ma intanto questa intera modifica è di
iniziativa del Governo, quindi di parte, cosa invero anomala e
contraria alla centralità del parlamento come luogo di confronto
plurale dove sono rappresentate anche le forze non governative. Poi non si può non vedere che la Nuova costituzione darebbe al Governo dei poteri decisivi e potenzialmente
illimitati:
a) il ddl "a scadenza fissa",
ovvero il potere (art. 72, VI comma) di chiedere alla Camera dei
deputati di approvare entro 70 gg. un qualunque disegno di legge,
solo perché dal Governo stesso sia “indicato come essenziale per
l'attuazione del programma di governo”, una formula che non
consente sindacato sull'abuso del potere (da parte del Presidente
della Repubblica in sede di promulgazione, o della Corte cost. in
sede di giudizio incidentale successivo), visto che l'indicazione è
una mera potestà, salvo limitazioni da parte dei regolamenti
parlamentari, e che potenzialmente potrebbe occupare buona parte del
calendario della Camera senza consentire discussioni vere (si pensi
ad es. ai 70 gg. occupati da manovre di maggioranza che bloccano il
ddl in commissione) e col potere di ricatto derivante dal rapporto di
fiducia, aggravato dal meccanismo della legge elettorale attualmente
in vigore (l'Italicum); inoltre non il "programma di governo"
non ha dignità costituzionale, ma di mera prassi, quindi non può
considerarsi un parametro vincolante. Il richiamo all'istituto analogo previsto dalla costituzione francese non tiene conto del contesto costituzionale diverso e dei tanti limiti lì previsti per l'esercizio di questo potere (cfr. R. Tarchi, Osservatorio sulle fonti, 2/2014).
b) il potere di esercitare la
“clausola di salvaguardia” (art. 117, IV c.), chiamando allo
stato anche alcune delle poche competenze esclusive rimaste alle
Regioni con il nuovo Titolo V per la tutela dell'interesse nazionale,
sempre con il vincolo di controllo della maggioranza governativa e
col potere di scavalcare eventuale voto contrario del Senato,
limitandosi a votare con una facilmente raggiungibile maggioranza
assoluta (art. 70, IV c.);
c) la nuova struttura istituzionale
(Camera centrale nel procedimento legislativo, voto di fiducia dato
solo alla Camera, predominanza numerica di questa sul Senato più che
triplicata rispetto all'attuale rapporto, ecc.) è proposta senza che
si introduca alcun vincolo alla futura legge elettorale, ad esempio
con una più vincolante definizione del diritto di voto libero e
uguale (art. 48) che imponesse l'introduzione di leggi elettorali
capaci di garantire una sufficiente razionalità e rappresentatività
della Camera, invece saremo nuovamente dipendenti dall'eventuale
(art. 73, II c.) e probabilmente tardivo giudizio della Corte
costituzionale;
d) non si introduce alcun
rafforzamento delle istituzioni di garanzia (anzi, PdR, CSM e Corte
Costituzionale sono indeboliti e resi a portata della maggioranza
governativa). L'interpretazione della nuova Carta che tenga conto
della attuale legge elettorale è la più preoccupante: con la
maggioranza vinta, probabilmente al ballottaggio, si avrebbe il
controllo del procedimento legislativo alla Camera, si potrebbe
ottenere la messa in stato d'accusa del PdR (art. 90) con il voto di
soli 25 senatori, oltre ai 340 della maggioranza alla Camera (ma anche una maggioranza più debole, comunque "governativa", turberà l'indipendenza del PdR):
praticamente il Governo può ricattare il Presidente della Repubblica
e inibire l'esercizio di ogni suo potere di garanzia e ostacolo agli
abusi dell'esecutivo (a partire dal rifiuto della promulgazione di
leggi palesemente incostituzionali, o di sciogliere la Camera);
e) non si introduce alcuna concreta
disciplina di poteri delle minoranze e delle opposizioni: è nominato
lo “statuto delle opposizioni” (art. 64, II c.), ma la sua
disciplina è rinviata ai regolamenti delle Camere, eppure ci sono
esempi e letteratura da cui attingere per mettere in costituzione
delle regole minime che garantiscano le minoranze (si veda il saggio
di Antonuzzo su
http://www.amministrazioneincammino.luiss.it/app/uploads/2016/06/Antonuzzo.pdf
); si modificano gli istituti referendari, ma il referendum
abrogativo beneficerebbe di una saggia riduzione del quorum (art. 75,
IV c.) solo se si raccoglieranno ben 800.000 firme; l'iniziativa di
legge popolare dovrà raccogliere il triplo delle firme di oggi
(150.000 invece di 50.000) avendo solo la garanzia di venir discussa
e votata nei tempi che stabiliranno i regolamenti parlamentari (art.
71, III c.); altra norma “bandiera” (art. 71, IV c.) introduce il
referendum propositivo e d'indirizzo che dovrà essere attuato da
altra legge costituzionale e, dopo di questa, da legge di attuazione:
nulla, quindi, per anni.
5. La modifica della forma di
governo. Questo effetto si ha con una legge elettorale che, come
l'Italicum già in vigore da luglio 2016, introduca un meccanismo che
sfrutti gli spazi lasciati pericolosamente liberi dalla nuova
costituzione e consenta ad una legge maggioritaria di trasformare una
democrazia parlamentare in un premierato forte: premierato
grazie ad una legge premiale che - qualunque sia il risultato delle
votazioni - pretende di creare una maggioranza nell'assemblea
elettiva, come ammette da tempo il suo ispiratore, Roberto D'Alimonte; e contemporaneamente determina l'elezione del presidente
del consiglio attraverso una “indicazione” del capo della lista
che risulti vittoriosa (al primo turno o al ballottaggio); e sarebbe
un premierato forte perché mancherebbero i contrappesi (sia
nuovi poteri di interdizione o codecisione di altri organi, ma
sarebbero anzi indebolite le istituzioni di garanzia per lo
squilibrio di numeri nelle cruciali votazioni di cui agli artt. 83,
elezione PdR, 90, messa in stato d'accusa del PdR, 104, elezione di
un terzo del CSM), e ci sarebbero anzi i rafforzamenti
dell'esecutivo di cui si è detto al punto 4. Appare poi
intollerabile che una radicale modifica della forma di governo e una
così grave concentrazione di poteri sia fatta in modo surrettizio,
senza discuterlo apertamente e smentendo l'intima connessione con la
legge elettorale. Solo una legge elettorale rigidamente proporzionale
per la Camera eviterebbe l'attacco al principio di equilibrio e
separazione dei poteri, anche se lascerebbe in vita le numerose
incongruenze e pericoli.
6. La modifica del bicameralismo.
La differenziazione delle funzioni delle due camere non può esser
detta urgente o indispensabile: nell'ultima legislatura ben 202 delle
252 leggi approvate è passata con una sola lettura in ciascuna
camera, senza alcun rinvio per modifiche alla prima camera; altre 43
leggi sono passate con un solo rinvio, quindi tre passaggi (http://blog.openpolis.it/2016/10/19/referendum-leggi-veloci-leggi-lente/10661). Niente di
patologico, nessuna urgenza nella modifica giustifica il modo
illegittimo e il contenuto inefficace e confuso con cui viene
proposta. Quanto poi alla fiducia al Governo dalla sola Camera dei
deputati: la modifica potrebbe, in sé, esser considerata razionale e
benvenuta, ma non si può motivarla sulla instabilità perché i
tanti governi che si sono succeduti in 69 anni di repubblica con il
bicameralismo perfetto, solo due sono caduti per il diniego della
fiducia in parlamento (i due governi Prodi) e tutti gli altri sono
cambiati anzitutto per pretese delle correnti interne della DC, in
una anche eccessiva stabilità e continuità. Una modifica semplice
al meccanismo della fiducia, l'introduzione della sfiducia
costruttiva, avrebbe dato ben più stabilità al sistema. Infiine: la trasformazione del Senato nelle sue funzioni non impone certo che non sia elettivo.
7. La modifica del Titolo V: un
forte accentramento. L'intervento sul Titolo V è un forte
revirement accentratore rispetto al principio tendenzialmente
federalista introdotto nel 2001 tanto da consegnarci uno stato
centralista, più di quello della originale versione del titolo del
1947. Le competenze esclusive statali del nuovo art. 117, II c., si
moltiplicano (da 31 a 48), sono introdotte materie esclusive
regionali, ma con riserve parziali allo stato che è chiamato a
disciplinare parte delle materie, la regione dovrebbe completare,
riproponendo così in sostanza la “competenza concorrente” che il
legislatore si vanta di aver abolito: tutt'altro, si introducono
concetti nuovi e non ancora vagliati in cui lo stato si contende le
materie con le regioni, dettando ora le “norme generali e comuni”,
ora le “disposizioni di principio”, ora imponendo interessi
nazionali o sovranazionali su quelli regionali, ora semplicemente
dettando una parte della disciplina (cfr. U. De Siervo, “I più chediscutibili contenuti del progettato art. 117 della costituzione”,su osservatoriosullefonti.it, 1/2016). In più, come detto sopra
(punto 4, b), il Governo può esercitare con iniziativa legislativa
una supremazia e chiamare a sé materie pur di esclusiva competenza
regionale. La modifica non ha voluto toccare statuti e competenze
delle cinque regioni a statuto speciale per il veto posto dai
parlamentari rappresentanti di quei territori, consegnandoci così un
sistema che costa miliardi ed una disparità ora intollerabile
rispetto alle spogliate regioni ordinarie: gli statuti speciali
potranno esser modificati solo con “intesa” dei loro consigli,
mentre oggi basta che siano “sentiti”; tutto il capo IV del ddl
non si applica, mentre si applica il potere di espandere
ulteriormente le loro competenze.
L’incoerenza del ddl costituzionale si somma così al suo chiaro intento di riduzione delle garanzie e dell’equilibrio delle funzioni e di separazione dei poteri, di esaltazione dell’esecutivo senza i lacci delle garanzie e del pluralismo, dei limiti al potere, chiunque lo detenga. La “Nuova Costituzione Renziana” si qualifica come il più determinato e sgangherato attacco al costituzionalismo democratico, intento reazionario un po’ guascone e un po’ golpista che dobbiamo respingere senza tentennamenti.
giovedì 24 novembre 2016
La modifica costituzionale proposta dal governo Renzi spiegata dai Giuristi Democratici di Firenze
"CONVERSAZIONE SULLA MODIFICA COSTITUZIONALE"
Convegno dei Giuristi Democratici, sezione di Firenze
14 novembre 2016, Firenze, piazza della Libertà, Parterre
un esame critico di tutto il ddl costituzionale, per punti e nel suo insieme, senza sconti e senza propaganda.
PRIMA PARTE
https://youtu.be/SrUFBYoTzWQ
Convegno dei Giuristi Democratici, sezione di Firenze
14 novembre 2016, Firenze, piazza della Libertà, Parterre
un esame critico di tutto il ddl costituzionale, per punti e nel suo insieme, senza sconti e senza propaganda.
PRIMA PARTE
https://youtu.be/SrUFBYoTzWQ
Giuseppe Gratteri avvocato Foro di
Firenze, GD Firenze
potere costituente e costituito, art.
138 Cost., oggetto e titolo del quesito referendario, sent. 1/2014 C.
Cost.
Marco Croce docente di diritto
costituzionale - Univ. Firenze
i rapporti tra modifiche costituzionali
e legge elettorale n. 52/2015; il giudizio preventivo di
costituzionalità della l. elett.; la giurisprudenza costituzionale
in materia elettorale.
Fabrizio Matrone avvocato Foro di
Firenze, GD Firenze
composizione e le funzioni del Senato, il suo presunto essere "rappresentativo
delle istituzioni territoriali", quale legge elettorale
transitoria e di attuazione per l'elezione dei senatori
Francesco Randone docente di diritto
costituzionale, Univ. Pisa
funzione legislativa (compreso il
disegno di legge a data fissa e le modifiche alla decretazione
d'urgenza)
SECONDA PARTEhttps://youtu.be/8L937Io_sIw
Paolo Solimeno avvocato Foro di Firenze, coord. GD Firenze
discussione e conclusioni
Il convegno ha voluto affrontare con taglio critico e analitico, sulla base di una distinzione fra le varie parti delle modifiche costituzionali proposte dal ddl Boschi-Renzi (http://documenti.camera.it/Leg17/Dossier/Pdf/AC0500N.Pdf ) su cui siamo chiamati ad esprimere il voto al referendum costituzionale "oppositivo" il 4 dicembre prossimo. Senza perdere la visione d'insieme ci siamo confrontati in pubblico e forniamo adesso la registrazione integrale del convegno curata da Giancarlo Venturi come strumento di riflessione che speriamo convinca a votare NO nel referendum del 4 dicembre 2016!
Paolo Solimeno avvocato Foro di Firenze, coord. GD Firenze
modifiche costituzionali e garanzie
mancate: quale legge elettorale per camera e senato, le maggioranze
necessarie all'elezione delle cariche istituzionali, quale statuto
delle opposizioni, limiti all'uso del ddl a scadenza fissa, disparità
di poteri fra regioni a statuto speciale e ordinario, ecc.
Massimo Capialbi avvocato Foro di
Firenze, GD Firenze
riparto di competenze legislative tra
Stato e Regioni - titolo V - lo squilibrio delle regioni a statuto
speciale
Roberto Passini avvocato Foro di
Firenze, GD Fi. e rivista Hyperpolis.it
sovranità nazionale, UE e fonti del
diritto, diritti fondamentali e marginalizzazione delle assemblee
elettive
Eleonora Fornai avvocato del Foro di
Grosseto, GD Firenze
modifiche agli strumenti di democrazia
diretta: referendum propositivo e d'indirizzo, legge d'iniziativa
popolare. Un confronto con altre esperienze.
discussione e conclusioni
Il convegno ha voluto affrontare con taglio critico e analitico, sulla base di una distinzione fra le varie parti delle modifiche costituzionali proposte dal ddl Boschi-Renzi (http://documenti.camera.it/Leg17/Dossier/Pdf/AC0500N.Pdf ) su cui siamo chiamati ad esprimere il voto al referendum costituzionale "oppositivo" il 4 dicembre prossimo. Senza perdere la visione d'insieme ci siamo confrontati in pubblico e forniamo adesso la registrazione integrale del convegno curata da Giancarlo Venturi come strumento di riflessione che speriamo convinca a votare NO nel referendum del 4 dicembre 2016!
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